Mancano due giorni ai ballottaggi in 126 comuni italiani, prevedere con certezza come andrà a finire è naturalmente impossibile, eppure qualche idea è possibile farsela avendo a disposizione un’analisi ampia dei risultati precedenti. L’ha fatta il solito Istituto Cattaneo di Bologna, sulla base di tutti i ballottaggi dal 2010 a oggi, che sono stati 532. Voteranno più o meno elettori? Vincerà chi è in testa o chi tenta la rimonta? Nell’Italia tripolare ha più chance chi parte da destra, chi da sinistra o il Movimento 5 Stelle? Qualche risposta arriva.

Non possono esserci dubbi sul fatto che domenica andranno a votare meno elettori rispetto al 5 giugno scorso. Nel ballottaggio per i comuni è sempre stato così. La forbice più stretta è stata quella del 2011, quando tra primo e secondo turno si perse poco più del 10% degli elettori, la più ampia nel 2014 quando si arrivò quasi al 20%; nella media al ballottaggio (dal 2010) circa il 15% degli elettori ha deciso di non tornare al seggio. È proprio questa la percentuale delle elezioni più recenti, quelle dello scorso anno, quando dovettero fare ricorso al ballottaggio il 74,5% dei comuni chiamati al voto. Quest’anno la percentuale è ancora più alta: nell’81,2% dei casi il primo turno non è servito a dare un sindaco ai comuni con più di 15mila abitanti (vale a dire che domenica si tornerà a votare in 121 comuni «superiori» su 149, e anche in 5 «inferiori» ma solo perché due candidati hanno preso lo stesso numero di voti). Sulla base dei precedenti, dunque, si può prevedere che anche quest’anno l’affluenza nazionale resterà sotto il 50%. Se l’anno scorso era arrivata al 49,5% quest’anno il secondo turno, se resta nella media, dovrebbe fermarsi attorno al 46%. Ciò nonostante, ha calcolato il Cattaneo con un’occhio alla legittimazione popolare dei vincitori, il sindaco eletto al secondo turno ha quasi sempre preso più voti rispetto al primo turno. Solo che mentre quest’affermazione era vera nel 90% dei casi nel 2011, lo è stata solo nel 55% dei casi nel 2014.

Quanto alla possibile rimonta, i precedenti spingono per considerarla difficile, ma non impossibile. In media, sette volte su dieci chi ha chiuso in testa il primo turno ha effettivamente vinto, in tre casi su dieci è accaduto invece il contrario. Naturalmente non è la stessa cosa immaginare la rimonta a Milano, dove Parisi si è fermato meno di un punto sotto Sala, o Roma (dove a Giachetti mancano dieci punti rispetto a Raggi) e Torino (Appendino deve recuperarne undici a Fassino), rispetto a Bologna e Napoli dove Merola e de Magistris hanno quasi venti punti di margine rispettivamente su Borgonzoni e Lettieri.
La previsioni più interessanti sono dunque quelle che riguardano Milano, Torino e Roma. Per quanto riguarda la prima, già mercoledì il Cattaneo ci aveva offerto un’analisi dei flussi elettorali dalla quale risultava la tendenza degli elettori grillini rimasti delusi dal primo turno di scegliere al secondo il candidato più anti governativo, in questo caso dunque Parisi. Per quanto riguarda invece Torino e Roma è interessante scoprire che, come scrivono i ricercatori dell’istituto bolognese, «per la natura composita del suo elettorato e per il suo messaggio trasversale, il Movimento 5 Stelle si dimostra una macchina da ballottaggi». Dal 2010 al 2015 infatti i candidati grillini hanno partecipato a 24 ballottaggi e ne hanno vinti 13, cioè più del 50%. Non solo, dieci di questi tredici successi li hanno raggiunti partendo da una posizione di svantaggio, il che vuol dire più di quattro casi su dieci, una media come abbiamo visto superiore a quelle di tutti gli altri candidati in svantaggio. È andata così a Parma nel 2012 e a Livorno nel 2014. Perché, ed è un particolare che farà piacere alla sfidante torinese Chiara Appendino, tutti i casi di rimonta a 5 Stelle si sono verificati quando dall’altra parte c’era un candidato del partito democratico.