«Siamo tutti impegnati pancia a terra nella campagna elettorale. Di questi casi non ne parliamo neppure». Interrogato, il grillino che compulsa le chat interne al M5S nega ogni turbamento. Anche se la storia delle restituzioni degli stipendi e quella del candidato massone investe il Movimento 5 Stelle delle origini e quello del nuovo corso governista.

Sono vicende che colpiscono due pietre angolari della narrazione pentastellata. La prima riguarda i quattrini, elemento identitario di prim’ordine. Dopo i casi del senatore Carlo Martelli e il deputato Andrea Cecconi, gli ammanchi nelle casse del fondo che raccoglie i soldi resi dagli eletti a 5 Stelle sembrano destinati a crescere e non di poco. Martelli e Cecconi, per di più, non sono due grillini qualunque. Entrambi godevano di ottimi rapporti con Di Maio e Casaleggio.

In media, ogni mese i parlamentari in questi anni dovrebbero aver restituito al fondo per le microimprese tra i 1500 e i 2 mila euro. Un gesto simbolico più che sostanziale, che però paga in termini di visibilità e consenso. «Abbiamo restituito decine di milioni di euro che hanno creato migliaia di imprese – esagera Di Maio, sulla difensiva – Gli altri partiti oggi ci attaccano ma hanno fregato 30 miliardi dal bilancio dello Stato». Sono cifre che ballano dagli esordi del M5S e che in questi anni hanno fatto breccia nell’immaginario dell’italiano colpito dalla crisi e preoccupato dalle ruberie. Ma l’inchiesta delle Iene preoccupa Di Maio, non a caso ieri raggiunto da Grillo, perché giocare coi simboli è rischioso.

Si fanno i nomi di altri parlamentari di primo piano come Barbara Lezzi, Mario Giarrusso e persino la candidata alla presidenza della Regione Lazio Roberta Lombardi. Loro negano. Ma cinque anni fa, assieme ai tanti eletti sbarcarono a Roma con la promessa di tagliarsi la paga. Si dichiaravano decisi a guadagnare duemila euro al mese. Ci misero poco ad alzare l’asticella. La soluzione, dopo mesi di riunioni drammatiche e tensioni interne, venne trovata nella modulazione tra diaria e rimborsi. Funziona così: i «portavoce» alla Camera e al Senato si dimezzano i gettoni di presenza ma compensano con sostanziosi risarcimenti, da presentare senza troppi vincoli. Ecco dunque che le tabelle presentate ogni mese sul sito tirendiconto.it mostrano spesso voci a tre zeri per alloggio, telefono o spostamenti. Al fondo sarebbero stati versati, a detta dei parlamentari, 23.418.354 euro. Al ministero ne mancano 226mila, nonostante le restituzioni comprendano anche il denaro versato dagli eletti nelle regioni. Il che farebbe salire il rosso fino a un milione di euro.

C’è poi la questione di Catello Vitiello, candidato al collegio uninominale di Castellammare di Stabia e massone in sonno. Vitiello è figlio di un ex esponente locale della Dc ma è stato scelto da Di Maio in persona, secondo la prassi dello scouting che ha portato il «capo politico» del M5S a cooptare i personaggi più disparati. Adesso Di Maio annuncia di voler «inibire l’uso del simbolo» a Vitiello. La cui candidatura, però, non può essere ritirata, così come quelle del laziale Dessì (sospeso perché fotografato con uno degli Spada) e dei furbetti del bonifico che in questi giorni potrebbero saltar fuori oltre a Martelli e Cecconi. Se anche questi volessero dimettersi, appare molto difficile che il parlamento vorrà accettare il passo indietro. Per prassi, le dimissioni vengono accolte per gravi motivi di salute o per evidenti e inoppugnabili casi di incompatibilità. Dunque, gli elettori grillini sono costretti a votare persone che andranno a ingrossare le file del gruppo misto.

La seconda legislatura del M5S, insomma, ancora prima di cominciare conta le prime defezioni, nonostante Di Maio avesse chiesto pieni poteri nella selezione dei candidati proprio al fine di evitare i traditori della causa. Assieme all’impasse nei sondaggi, la circostanza rafforza l’ala dei 5 Stelle rimasta spiazzata dalla svolta normalizzatrice condotta dal «candidato premier». Non è una corrente, le cose sono sempre fluide nel M5S. Sono malumori che però trovano modo di coagularsi. «Il massone dalla poltrona non lo schiodano sicuro», perde la pazienza per un attimo l’attivista grillino. Che alla fine sentenzia: «Chi ha filtrato le nostre candidature dovrebbe essere preso a calci nel sedere».