Oggi Luigi Di Maio arriverà nella sua Pomigliano d’Arco a festeggiare il trionfo elettorale del Movimento 5 Stelle. La cittadina industriale della Campania, alle soglie della metropoli napoletana dove i grillini hanno raccolto in qualche collegio più del 50% dei voti, è l’emblema di un M5S che viene trainato oltre ogni immaginazione dal voto dei meridionali, sbanca quasi tutti i collegi uninominali, azzera equilibri consolidati e potentati locali.

È UN DATO CHE STRAVOLGE le mappe politiche del paese, che influenza la composizione del voto e che è destinato ad avere ripercussioni sul dibattito di questi giorni oltre che sulle trattative per la formazione del governo. Compulsando i primi dati elettorali, analisti e scienziati politici prendono le misure. «Sono molto sorpreso da questo risultato, che investe tutto il sud, anche quello considerato più forte come la Puglia», dice ad esempio Piero Fantozzi, sociologo all’Università della Calabria che ormai dagli anni 70 si occupa di flussi elettorali e sistemi clientelari.

«Penso che possa avere influito il tema del reddito di cittadinanza, sebbene la proposta dei 5 Stelle non sia particolarmente innovativa», dice Fantozzi.

Che poi ragiona su come il sistema elettorale pensato da Renzi per mettere in difficoltà i grillini abbia finito per favorirli. «Renzi pensava che l’uninominale avrebbe penalizzato i candidati del M5S, storicamente meno noti. Ma la personalizzazione ha funzionato al contrario: gli elettori hanno votato degli sconosciuti proprio perché volevano punire i candidati noti».

LA POLITICA HA MENO SOLDI e dunque meno possibilità di gesire le clientele? «Le clientele ormai funzionano più su scala comunale e regionale – dice ancora Fantozzi – È li che viene percepito lo scambio». Dunque, sono finiti i tempi in cui il ministro dell’istruzione cosentino Riccardo Misasi assumeva 21 mila bidelli calabresi, ma al tempo stesso è cambiato il tipo di rapporto che sta dietro al vincolo clientelare. Ci spostiamo a Napoli, da Luciano Brancaccio, sociologo urbano che studia le reti sociali e la criminalità. «Da anni assistiamo al disfacimento degli apparati di partito – spiega Brancaccio – A Napoli la Dc prendeva voti con la sanità. Per altri versi, si pensi al Pci-Pds e alla macchina elettorale di Bassolino. Studiando la concentrazione delle preferenze alle elezioni amministrative questo mutamento emerge chiaramente. Adesso i candidati hanno caratterizzazione territoriale, sono legati a quartieri o rioni. Le definiamo microclientele. Al contrario, le clientele di una volta raccoglievano voti su di un territorio molto più vasto. Da questo punto di vista, il voto al M5S è un voto di opinione».

BRANCACCIO EVIDENZIA come per la prima volta ci si trovi davanti a «un partito di maggioranza relativa che trae la maggior parte del suo consenso dal sud, tanto addirittura potrebbe diventare una forza identitaria simmetrica alla Lega».

Per i possibili punti di convergenza tra M5S e Lega ci rivolgiamo a Marco Almagisti, docente all’università di Padova che ha recentemente curato un Quaderno di Scienza Politica sui 5 Stelle. Il suo ragionamento muove dal risultato dei grillini in Veneto: 24,8%. «Nel 2013 il Movimento 5 Stelle era il primo partito – ricorda Almagisti – Accadde perché i leghisti erano in piena crisi, era l’epoca del cerchio magico di Bossi. Dunque è importante che nel corso di queste ultime elezioni abbia tenuto, nonostante l’ottimo risultato di Salvini».

COME SI SPIEGA? «La forza maggiore dei 5 Stelle è la debolezza altrui – dice Almagisti – Raccolgono la delusione che centrosinistra e centrodestra». L’economista della London School of Economics Andres Rodriguez Pose ha coniato la definizione di «luoghi che non contano». In questi posti, situati in diversi paesi del mondo, sono nati fenomeni di vendetta elettorale: il Midwest per Trump, l’Inghilterra settentrionale per la Brexit, le zone rurali della Germania dell’est per Alternative fur Deutschland.

IL SUD D’ITALIA come la Rust Belt? «Starei attento a paragonare cose diverse – risponde Almagisti – ll M5S interpreta la reazione contro il senso di esclusione. Nei flussi della globalizzazione le periferie vogliono contare più dei grandi centri». Da qui alla convergenza di governo con la Lega, però, il passo è lungo. «È difficile che una maggioranza nasca con una composizione così traumatica – afferma ancora Almagisti – Ma tra Lega e M5S ci sono punti di contatto. Sono entrambi partiti non ecumenici. In secondo luogo, interpretano delle linee di frattura e nello specifico del M5S quella verso l’establishment, che si nutre delle conseguenze tragiche della crisi economica drammaticamente sottovalutata dalle elite in tutto l’Occidente. Spesso tutto ciò viene liquidato come populismo. Infine, sia M5S che Lega nutrono diffidenza verso la globalizzazione».