Il plebiscito a favore di Giuseppe Conte non c’è stato. Tanto che alla votazione ripetuta sul nuovo statuto, non è stata raggiunta la maggioranza qualificata: perché la votazione fosse considerata valida era richiesta la partecipazione della maggioranza degli iscritti al Movimento 5 Stelle da più di sei mesi. C’è stato dunque bisogno di una seconda tornata, questa volta bastava maggioranza semplice, per provare a sanare le irregolarità contestate dai giudici al nuovo corso grillino.

IL VOTO ONLINE conclusosi ieri sera sfida di fatto la decisione del tribunale civile di Napoli di sospendere regole e leader ma va incontro a numerosi dubbi di efficacia legale. Motivo per cui ricorda certe consultazioni autoconvocate, cerimonie più simboliche che concrete. Ma questo è punto diventa dirimente: se di simbolo doveva trattarsi Conte aveva bisogno di poterlo agitare, e dunque di una consistente percentuale di votanti. Così non è stato.

GIOVEDÌ, ALLA CHIUSURA delle urne digitali sulla piattaforma SkyVote hanno votato soltanto in 36 mila, segno che il bagno di voti e la legittimazione politica di cui l’ex presidente del consiglio avrebbe avuto bisogno non c’è stata. Per l’avvocato Lorenzo Borrè tutto ciò significa che la maggioranza degli iscritti disapprova il tentativo di bypassare i procedimenti legali cui è sottoposto il M5S. «Conte si aspettava un bagno di democrazia e ha ricevuto la doccia fredda da parte della realtà, avendo votato meno di un quinto degli iscritti – spiega Borrè – La sfida al tribunale di Napoli evidentemente non è piaciuta alla stragrande maggioranza degli associati, i quali probabilmente non credono che la democrazia si affermi con petizioni antidemocratiche, quali quelle che riservano ad uno solo di loro la possibilità di guidare il partito». La strada indicata da Borrè passa per il ripescaggio di leadership collegiale e piattaforma Rousseau: da questi passaggi si deve passare per proporre modifiche di statuto. L’idea piace moltissimo a quelli che vogliono tornare al M5S delle origini e che sono sicuri che se Conte accettasse queste condizioni resterebbe impantanato nell’entropia dei 5 Stelle che furono.

PER CONTE, INVECE, l’esito di queste giornate potrebbe essere la spinta verso la tentazione di qualche mese. Di quella prospettiva che aveva valutato quando la rottura con Beppe Grillo pareva irreparabile: traslocare anche dal punto di vista formale oltre che sostanziale il Movimento 5 Stelle nella Lista Conte. Un partito nuovo di zecca che salvi il salvabile dell’esperienza grillina ma che utilizzi un nuovo soggetto per sfruttare dal punto di vista elettorale la rimanente popolarità, attestata dai sondaggi, del leader. Lui stesso sembra ammetterlo quando dice ai suoi che i tempi della giustizia per fare definitiva chiarezza sulle beghe legali del M5S, sono lunghissimi. E non corrispondono coi tempi della politica. L’idea, insomma, sarebbe che non possa esistere il M5S senza Rousseau. E che emanciparsi dalle regole e dalle gerarchie precedenti voglia dire diventare un’altra cosa, anche prendendo atto della fine del mito della democrazia digitale.

È QUELLO CHE sta avvenendo in questi giorni: il M5S sta partecipando alle alle lezioni di secondo livello per i consigli provinciali e città metropolitane. E alle trattative per la tornata amministrativa di primavera con un simbolo provvisorio, utilizzando l’infrastruttura organizzativa al servizio di un contenitore vero e proprio. Non senza polemiche interne. L’europarlamentare Dino Giarrusso, ad esempio, mette in relazione il pasticcio del voto sullo statuto alle scelte elettorali. «Mi auguro – manda a dire a Conte via Facebook – che questo sia solo il primo di molti voti cui verremo chiamati tutti noi iscritti, in particolare nella scelta dei referenti locali, che devono essere rappresentativi degli iscritti».