Beppe Grillo non risponde alla lettera di Matteo Renzi e il Pd ha molta voglia di far saltare l’incontro con il Movimento 5 stelle, in programma domani nel primo pomeriggio. Si dovrebbe discutere innanzitutto di legge elettorale, ma il precedente incontro – quello del 24 giugno, chiesto dal movimento, costretto a cercare il dialogo con il vincitore delle elezioni europee – ha evidenziato le distanze tra democratici e grillini. Renzi nella sua lettera di tre giorni fa ha elencato tutti i punti di distanza, senza nasconderne alcuno. E sulle riforme costituzionali ha in pratica chiesto ai grillini di accettare i contenuti dell’accordo che nel frattempo ha rinsaldato con Berlusconi.

Lasciando in anticipo il precedente incontro in streaming, Renzi aveva già chiarito che non intende farsi irretire in una serie di incontri: per questo ha chiesto risposte scritte. Che non sono arrivate. «Decideremo nelle prossime ore se confermare l’incontro», ha detto ieri una dei due vice del segretario, Debora Serracchiani. Ma nel frattempo altri due componenti della segreteria, Faraone e Nicodemo, incalzavano su twitter Grillo, chiedendo risposte. Che non sono arrivate. I grillini preferiscono darle al presidente del Consiglio in diretta streaming, lui viceversa non può negarsi al confronto ma non vuole nemmeno rischiare di mettere in dubbio il «patto del Nazareno».

Il nodo sono le preferenze, che il segretario del Pd aveva più volte detto di voler reintrodurre, come del resto la stessa sentenza della Corte Costituzionale che ha abbattuto il Porcellum invita a fare. Ma Berlusconi non vuole, e dunque discorso chiuso. Anzi, la netta contrarietà dell’ex Cavaliere – che altrimenti rischierebbe di perdere la presa sul suo partito, ormai preda di diverse correnti l’un contro l’altra armata – fa da schermo all’identica contrarietà del leader Pd. Le liste bloccate sono da sempre l’arma più potente in mano a un segretario di partito per disegnare a sua immagine e somiglianza i gruppi parlamentari. Lo sa bene anche Bersani che adesso, lontano dalla stanza dei bottoni, prova a rompere il gioco di Renzi facendosi paladino della reintroduzione delle preferenze. O di una soluzione di mediazione, proposta da uno dei suoi, che prevede l’elezione bloccata solo per il capolista, cioè con l’Italicum per circa un centinaio di deputati, e Berlusconi non può sperare di conquistarne di più. Ma anche questo per Renzi sarebbe concedere troppo: i restanti trecento e passa deputati cui può aspirare il Pd finirebbero per essere affidati alla gara delle preferenze. «Noi non le temiamo», dice il segretario ai grillini. Ma di certo non le desidera. Le distanze Pd e 5 stelle non sono destinate ad accorciarsi.

Se non per tenere sulla corda Berlusconi, che infatti ha già ceduto su quasi tutto e alla fine ha anche ricondotto all’ovile la gran parte delle dissidenza interna a Forza Italia. Ieri anche uno dei leader della fronda, il capogruppo alla camera Brunetta, sosteneva che «il nostro presidente non manda a monte un patto, e noi con lui». Martedì è il giorno decisivo: è stata convocata una riunione dei senatori Pd per vincolare tutti al testo di riforma del governo, quello che il senatore democratico Mucchetti denuncia come «centralismo democratico di derivazione comunista». Poi la commissione affari costituzionali dovrebbe votare sugli emendamenti più delicati, quelli sull’elettività dei nuovi senatori.