Il colpo è arrivato ed è stato duro, anche se le profezie dei sondaggisti divergono più che sensibilmente. C’è chi sottrae all’M5S addirittura 4 punti percentuali e mezzo di consensi in seguito al pasticcio romano (Swg), chi 3 (Tecné, Ipr), chi meno di 1 (Ixè), mentre per Piepoli il fattaccio è stato quasi ininfluente. Ma alla domanda se Virginia Raggi se ne debba andare solo il 20% dei romani risponde affermativamente. Roberto Weber, di Ixè, fa un ragionamento più sofisticato: più che al calo, secondo lui limitatissimo, guarda all’espansione sin qui inarrestabile dei pentastellati e ritiene che la figuraccia romana possa segnare il suo arresto.

Il day after in Campidoglio non è ancora arrivato, essendo ancora in ballo poltrone chiave. Ma la fase più tormentata della vicenda sembra essersi fermata e a questo punto per i partiti rivali, soprattutto per il Pd, e per la stampa nemica, di fatto quasi tutta, si tratta di rigirare il coltello nella ferita aperta per impedire che si rimargini.

Il fuoco è incrociato e ad alzo zero. Le accuse vanno dall’usare il no alle Olimpiadi per mascherare le magagne romane, cavallo di battaglia di numerosi esponenti del Pd anche se quel no dai vertici a 5 stelle era stato detto ben prima che la terra tremasse sotto il Campidoglio, a quella di farsi telecomandare da Grillo, brandito da Giachetti e con lui da molti altri. Anche se la sindaca non ha obbedito all’ordine di mandare via l’assessora all’Ambiente. Spunta anche una denuncia nuova, il “sessismo” delle pentastellate che trattano le colleghe da “veline o ancelle”: questa è dell’impareggiabile Maria Elena Boschi.

Il pezzo forte arriva però con Roberto Saviano, che per motivi ancora non ben chiari è stato promosso a guardiano e giudice supremo dell’etica nazionale su ogni fronte. Il verdetto è durissimo: «I peggiori nemici dell’M5S sono nell’M5S. La responsabilità che ha l’M5S è quella di aver spinto nel precipizio più profondo anche l’ultima briciola di fiducia che gli italiani gelosamente conservavano nella politica». Parole che non sono state scritte con la deliberata intenzione di dare una mano al Pd ma che inevitabilmente sono state accolte con giustificata gioia al Nazareno.

E il Movimento sotto tiro, come reagisce?

In parte denunciando la manovra collettiva ai suoi danni. «E’ stata usata Roma come manganello contro di noi», si lamenta Di Maio. Ha ragione, ma non può bastare a coprire errori reali. In parte rispondendo con batterie quasi altrettanto nutrite che prendono di mira il fallimento delle politiche economiche del governo: «Il Jobs Act è fallito e questa volta ad ammetterlo è lo stesso Poletti, riconoscendo che il tasso di disoccupazione è aumentato», tenta l’affondo lo stesso Di Maio, mentre Grillo accorpa i due argomenti: «L’accanimento mediatico di giornali e tg di regime contro l’M5S serve a coprire i dati economici di un Paese che va a rotoli».

Nemmeno a lui si può dar torto. Il fallimento di una politica economica che è costata miliardi, ha abbattuto i residui diritti dei lavoratori e trasformato persino il lavoro a tempo indeterminato in una forma di precariato dovrebbe pesare più degli errori di una sindaca appena entrata in carica, alle prese con problemi enormi e circondata da nemici.

In realtà, però, proprio questo è il punto debole dell’autodifesa dei 5S.

I sondaggi dimostrano che gli italiani sono abbastanza smagati da rendersi conto di quanto faziosa e ipocrita sia stata la campagna di questi giorni. I romani a dare il benservito alla Raggi non ci pensano per niente. Ma si rendono anche conto che l’inadeguatezza dimostrata a Roma non è frutto solo delle bugie mediatiche e che il Movimento di Grillo presenta davvero un fianco completamente scoperto da quel punto di vista.

Il solo modo che l’M5S ha per uscire da questa vicenda è dimostrare, già nei prossimi mesi e nei fatti, di aver superato quella inadeguatezza.