Li accomuna solo la delusione per il risultato elettorale. Per il resto talebani e moderati restano distanti nel M5S, con la differenza che adesso i secondi si sono stufati di lavorare come muli per poi vedere andare tutto in fumo per l’eccessivo protagonismo di alcuni colleghi, per il solito «vaffa» indirizzato all’avversario di turno o per le aggressioni verbali diventate ormai l’unico modo in cui Grillo e i pentastellati doc, i «privilegiati» del cerchio magico, sembra sappiano parlare. «Adesso basta» dicono i dissidenti di seconda generazione, quelli che in questi mesi hanno accettato tutto «perché crediamo ancora nel Movimento» ma che adesso, dopo l’ennesima batosta proveniente dalle urne, non ne possono più. E promettono battaglia.

Lo scontro, perché questo sarà, è fissato per la prossima settimana in un’assemblea congiunta convocata lunedì via mail dal capogruppo alla Camera. Ma intanto sul modo in cui la coppia Grillo-Casaleggio ha impostato la campagna elettorale arrivano critiche pesanti anche da fuori il parlamento. Da Parma ad esempio, individuata dai ricercatori dell’Istituto Cattaneo come città simbolo della sconfitta grillina, Federico Pizzarotti non le manda certo a dire: è arrivato il momento di fare «una doverosa autocritica» dice il sindaco, finito anche lui di recente nel mirino di Grillo. «Non dobbiamo essere quelli che ’danno la colpa agli altri’, ma quelli che ’possono fare diversamente’. O facciamo autocritica per crescere o rimarremo relegati all’opposizione». Parole dure, che trovano eco in rete ma anche in molti Meetup che in queste ore si stanno riunendo. Al punto da provocare una capziosa risposta ufficiale del gruppo parlamentare che ricorda tanto le giustificazioni della Prima repubblica quando, all’indomani del voto, nessuno ammetteva la sconfitta: «Non c’è stata nessuna emorragia di voti, ma un calo di consensi», spiega la nota. «E’ sbagliato affermare che abbiamo perso quasi 3 milioni di voti. Considerando un’affluenza alle Europee attorno al 58% contro il 75% delle politiche dell’anno scorso, è come se avessimo perso poco meno di un milione di voti».

Sarà questa la trincea nella quale si schiereranno i talebani, per niente disposti ad ammettere errori e dimenticando che se di sconfitta si parla, è anche perché Grillo ha alzato l’asticella dello scontro con Renzi. Bisognerà vedere, però, se la linea difensiva scelta basterà a calmare i malumori delle voci critiche presenti in parlamento, sempre più numerose. «I nodi stanno venendo al pettine», dice ad esempio la deputata Paola Pinna, la prima a definire talebani i fedelissimi del leader. «Per me la sconfitta si deve al tipo di comunicazione adottato e a una strategia politica finalizzata a compattare lo zoccolo duro del movimento, magari sforbiciando un po’ l’elettorato più moderato e dialogante». Va giù duro anche Tommaso Currò, che accusa Grillo di circondarsi di un cerchio magico fatto «di cinque o sei persone, i fedeli servitori». «Lui e Casaleggio – prosegue il deputato – devono legittimare a esistere anche chi manifesta un’indole un po’ più mite per cominciare ad avere un dialogo interno, altrimenti si costruisce un clan, non un partito».

Sembra di vedere un film già visto. Fatta eccezione per le politiche del 2013 e per la conquista di qualche municipio, anche importante come Ragusa, tra regionali, comunali ed europee negli ultimi 12 mesi il M5S ha inanellato una sconfitta dietro l’altra, sempre con Grillo a urlare contro tutto e tutti. Proprio per aver criticato la strategia comunicativa del leader la senatrice Adele Gambaro è stata la prima a essere espulsa dal movimento. Oggi la scena rischia di ripetersi ancora, segno che i vertici del movimento in tutto questo tempo non hanno imparato niente. «Dobbiamo abbassare i toni, quando lo diceva qualcun altro era additato come dissidente» ha twittato ieri il deputato Walter Rizzetto, mentre un altro degli espulsi, Lorenzo Battista, avverte gli ex colleghi: «Questo è solo l’inizio del declino: o si cospargono il capo di cenere o è la fine. Possono anche restituire 5 milioni al mese , ma se non fanno niente per cambiare non hanno futuro». I vertici pentastellati capiranno? «Bisogna vedere se nell’assemblea ci sarà un riconoscimento degli errori, e se si comincerà ad ascoltare le forze critiche», prosegue Paola Pinna. «E poi bisogna capire se vogliano restare una forza di opposizione o se aspiriamo a diventare una forza di governo. È tutta lì la differenza. Ma governare significa assumersi delle responsabilità e fare delle scelte, stare all’opposizione è molto più facile. E comunque – aggiunge con parole che sembrano una risposta a Renzi – un’opposizione costruttiva accetta anche di partecipare a scrivere le riforme con proposte serie e utili».