Si dimette chi non è in linea con il governo. Questa è la linea penta-leghista anche sul presidente dell’Inps Tito Boeri. L’ha esplicitata il ministro dell’agricoltura Gian Marco Centinaio: «Penso che se qualcuno non è in linea con un governo, invece che richiederle, bisognerebbe metterle sul tavolo le dimissioni». Le dimissioni sono state chieste dal capogruppo M5S alla Camera Francesco D’Uva: «Le sue valutazioni sono politiche, non tecniche. Dovrebbe dimettersi».

IL GIORNO DOPO del conflitto totale davanti alle commissioni finanze e lavoro della Camera è questo l’orientamento della maggioranza che si è nuovamente scagliata contro l’economista bocconiano in carica dal 2015. Lo si vede dalle impazienti parole del ministro del lavoro Di Maio che sostiene di non avere il potere di rimuovere «questa persona: o scade [nel febbraio 2019] o resta lì».

NEMMENO LO SFORZO di nominare il nome di chi ha detto che il ministro non è capace di leggere una relazione tecnica, è lontano dalla «crosta terrestre» e, in sostanza, non dice la verità sull’ormai leggendario caso della «manina» che avrebbe cambiato le cifre di una tabella che in realtà sembravano essere conosciute dallo stesso ministero. Boeri si dimetterebbe pure, ma aspetta – come ha ribadito in commissione – che gliele chiedano «sedi istituzionali opportune». Ad esempio, il presidente del Consiglio Conte.

«SE QUESTE PERSONE sono nominate dai Governi precedenti – ha continuato Di Maio – allora a me viene il sospetto che, più che fare l’istituzione, si stia facendo opposizione al governo e allora si superano le prerogative. Mi ritrovo al vertice di istituzioni vigilate dal ministero persone nominate dal governo Renzi: non è singolare che mi vengano addosso». In realtà, come ha ricordato ieri Deborah Serracchiani (Pd), Boeri non è mai stato tenero con Renzi che lo ha nominato.

IL CASO È ORMAI personale e politico. E riguarda, paradossalmente, chi come Boeri ha detto di condividere lo «spirito» del «decreto dignità». La distinzione tra la valutazione «tecnica» – critica, ma in fondo tenue rispetto alla modestia del provvedimento – e il giudizio «politico» – positivo sull’azione del governo – non è stata compresa. Anzi è stata rovesciata. Boeri l’ha più volte richiamata, ma i suoi toni duri e spesso irridenti non hanno aiutato alla comprensione della sua visione sul problema dei contratti a termine a cui, non casualmente, sarà posto un argine con gli incentivi alle imprese per stabilizzare i lavoratori in tempi indeterminati (quelli del Jobs Act, non quelli prima del 2015). Nessuno, al momento, ha ipotizzato che per «lottare contro la precarietà» bisogna fare ribaltare prima il Jobs Act e poi tutto quello che è accaduto in questo paese dal pacchetto Treu del 1997 a oggi.

«QUELLO DI BOERI è stato un comizio vergognoso» ha detto Carla Ruocco, presidente della commissione Finanze – Qui l’unico fuori dal mondo sembra essere proprio Boeri, che sta usando l’istituzione tecnica che presiede per fini spudoratamente politici, lasciando presagire una futura carriera politica, magari a sinistra, dove in molti sembrano desiderosi di accoglierlo».

IL GOVERNO e la sua maggioranza hanno rivelato quello che Susanna Camusso (Cgil) ieri ha definito un “tratto di autoritarismo insopportabile». «Ho spesso avuto divergenze con il presidente Boeri – ha detto la segretaria della Cgil – ma che l’Inps debba essere piegato ad esser il ripetitore del Governo è illiberale, cosi come i metodi e le minacce non sono un bello spettacolo»