Quanto valgono i sondaggi lo sappiamo, ma l’impatto del sorpasso della Lega su M5S è innegabile. Inoltre, la crescita della Lega non sembra essere a spese degli alleati del centrodestra, e la coalizione avanza.

Se il trend si consolidasse, il centrodestra potrebbe trovare conveniente tornare alle urne. Dunque, l’arretramento di M5S non interessa solo all’oligarchia che ne tiene il timone.

Forse era scritto. Potrebbe aver pesato l’incidente ultimo sul palcoscenico romano, ma la tendenza si mostra ben altrimenti fondata. L’insostenibile leggerezza di M5S ha ceduto di fronte alla Lega, partito strutturato, radicato, già egemone in parti decisive del paese, e con lunga consuetudine di governo.

La parola chiave è: paura. In un paese frastornato, appesantito da milioni di poveri, segnato dalla peste della precarietà, diviso nei territori e nella distribuzione sempre più diseguale delle ricchezze, il rozzo messaggio di Salvini ha fatto breccia: uniti contro lo straniero, meno tasse, più sicurezza. Incide ancor più laddove si avverte l’aggressione di organizzazioni criminali, come mostra da ultimo la bomba di camorra a Napoli. E peserà anche l’uscita sui Rom, in specie nelle periferie urbane degradate. Sapevamo che l’esperimento gialloverde era sbilanciato a destra. Ma preoccupa che il paese segua il governo e scivoli a destra a sua volta. Bisogna fermare la deriva. Le opposizioni – il Pd e la sinistra – non sembrano al momento in partita. Il Pd è in un cono d’ombra dal quale non uscirà prima di aver fatto i conti con gli anni del renzismo, e l’ostacolo maggiore è proprio Renzi. Ma è una via obbligata. L’alternativa è ritirarsi nei bunker familistici e clientelari dei cacicchi locali. E deve cercare nuove strade anche la sinistra. Afona e impegnata in una battaglia navale di ceto politico che interessa solo chi ne è partecipe.

M5S è nell’angolo. Di Maio sui Rom ha ragione. Ma alla paura non si risponde con il diritto costituzionale. Si risponde con una nuova speranza, una idea di futuro. Anche la posizione sui riders è apprezzabile. Ma è solo una goccia nel mare della precarietà. Le proposte M5S rischiano di sfumare nella nebbia. Il ministro Tria, con il Def gialloverde, in parlamento si è posto in sostanziale continuità con il predecessore Padoan. Risorse poche, i vincoli di sempre, e con la Ue si tratta. Attenzione piena ai mercati. Sul reddito di cittadinanza avanti pianissimo. E intanto? Come si bilancia Salvini?

Qualcosa si può fare. Riscrivere il Jobs Act per ritrovare il lavoro buono e stabile, e uscire dall’ultimo posto nella classifica europea dei Neet, giovani che non studiano e non lavorano. Rovesciare la logica aziendalistica della “buona scuola”. Ridare centralità a ricerca e università. Assumere l’iniziativa su corruzione e conflitto di interessi. Avviare una politica sul Mezzogiorno. Il ministro Toninelli elenca interventi per contrastare il deficit infrastrutturale che schiaccia il Sud. Bene.

Con quali risorse, quali tempi?

Non si illuda M5S che la battaglia decisiva si combatta sulla rete e sulla piattaforma Rousseau. A parte ogni considerazione sull’affidabilità, non si può sequestrare il consenso di quasi undici milioni di elettori ed elettrici nelle decisioni di poche decine di migliaia di militanti. M5S e i suoi parlamentari devono fare i conti con una vastissima platea che non prende ordini dalla rete. Piuttosto, sarebbe utile guardare alla parte del contratto sulla democrazia diretta. Un intervento di semplificazione su referendum abrogativi e leggi di iniziativa popolare, anche limitato alla sola legge ordinaria 352/1970, sarebbe facile e rapido. E sarebbe apprezzato anche da chi può temere attacchi a diritti faticosamente conquistati, come il fine vita, le unioni civili, l’aborto.

Incertezze, immobilismi, vuoto di idee esaltano il messaggio rozzo e iper-securitario di Salvini. Non saranno le esortazioni, i richiami alla Costituzione a sconfiggere le paure, ma solo le nuove speranze. E certo non serve censire i raccomandati. Anzi, meglio una moratoria. A qualcuno potrebbe venire in mente di proporlo sui politici incapaci.