«Superare il 3 per cento non è un problema». Sorriso. «La sfida vera è unire quello che il potere vuole dividere, attivare un processo di mobilitazione che faccia conoscere i milioni di italiani che si battono contro lo stesso sfruttamento». Viola Carofalo, a capo della lista «Potere al popolo!» fa il suo primo ingresso alla camera (nella sala stampa) smontando tutti i luoghi comuni da centro sociale. È «un onore» presentare la lista a palazzo, la introduce Matteo Giardiello, Viola è tutto un programma, «donna, meridionale e ricercatrice precaria», di filosofia morale all’Orientale di Napoli. 37 anni, fornita di eleganza e intelligenza ironica che già buca il video, siamo «popolari ma non populisti», spiega così un linguaggio «semplice per arrivare a tutti» ma contenuti che non si puntano «alla pancia del paese». E per spiegarsi parla di carceri: no «al giustizialismo forcaiolo», «il carcere serve alla riabilitazione, le pene alternative riducono la recidiva, la pena deve essere giusta ma il detenuto non deve essere vessato, dall’inizio dell’anno abbiamo già avuto troppi suicidi». È solo un esempio, ma è coraggioso di questi tempi. A sinistra e non solo. La signora ha grazia e fegato e cultura: un vero delitto che abbia deciso di non candidarsi nelle liste.

«Potere al popolo!» nasce da un appello del centro sociale Ex Opg Je so’ pazz di Napoli ed è una rete che riunisce 150 assemblee in giro per l’Italia, ciascuna ha scelto «candidati espressione diretta dei territorio». «Nasciamo dal basso, da chi in questi anni ha costruito una risposta sui territori alla crisi provando a rispondere ai bisogni della maggioranza». Nel programma il diritto alla casa, allo studio, alla salute, al lavoro stabile e svolto in sicurezza (Viola prende parola ricordando Marco Santamaria, Giuseppe Settzu, Arrigo Barbieri, gli operai della Lamina di Milano morti lunedì, e facendo gli auguri a Giancarlo Barbieri, che lotta in ospedale), la difesa dei diritti dei migranti (alla conferenza stampa ne parla Hanne Souleymane Amadou, rifugiato, che la sicurezza di Montecitorio fa entrare un po’ in ritardo: «Pare ci sia Minniti all’ingresso», scherza lei). Parla Carmela Petrone, cuoca di una rete di solidarietà popolare (in parannanza, «è così che faccio politica»), Lina Montanari, comitato Torbellamonaca, Federico Giglio, comitato lotte per la casa San Basilio, Peppe, ex operaio senza fissa dimora, Stefania, ex operaia Almaviva. «Il nostro programma è fatto anche di vertenze sociali», «i nostri candidati sono combattenti sul territorio, petto in fuori e tutti alla lotta».

Nel parterre c’è Maurizio Acerbo, segretario di Rifondazione comunista, Giovanni Russo Spena, e l’ex segretario ed ex ministro Paolo Ferrero, che però non si candida. Si candida Paolo Petrangeli, «sì, quello di Contessa» dice rassegnato alla pigrizia del cronista. La lista è una mezza reunion del vecchio Prc: c’è anche Franco Turigliatto, trozkista e leader di Sinistra anticapitalista, uno dei no al Prodi II del 2008 e ormai fra gli sfascia-governi (di centrosinistra) per antonomiasia. E pure il Pci (ex Pdci di Cossutta e poi di Diliberto, poi Pcdi) oggi di Mauro Alboresi.

Il problema delle alleanze non c’è: se andranno in parlamento non ne faranno. «Non ci sono convergenze possibili. Che ora è? Non so a quest’ora Di Maio cosa pensa sull’immigrazione. Non è chiaro sull’Europa e sul razzismo». Ce n’è anche per Leu: «Faccio un appello al Pd, risponda a D’Alema, e mesi che chiama. Quella fra D’Alema e il Pd è una coppia che non riesce a separarsi, certi amori sono così». Avevano guardato con simpatia agli autoconvocati del Brancaccio, «ma la sua evoluzione ha tradito gli scopi iniziali. Sono state prese decisioni tra quattro mura, passando sulla testa di chi quel percorso lo aveva costruito». Nessuna alleanza neanche alle regionali, «non siamo schizofrenici». Non si presentano in Lombardia (ma Rifondazione lo farà), nelle altre regioni «ci stiamo lavorando». Sull’Europa: «ci ispiriamo a Mèlénchon, i trattati sono inaccettabili». Sull’euro nessuna scivolata: «Ne stiamo discutendo».