Mentre Donald Trump è sotto processo a Washington e Harvey Weinstein è sotto processo a New York, il Sundance si è aperto all’insegna di Obama – se non in carne ed ossa, sicuramente nello spirito.
Crip Camp, il più richiesto dei nove film d’apertura programmati in contemporanea per la prima serata di festival (lo davano simultaneamente in due sale molto grandi) è infatti il secondo documentario che esce -via Netflix- sotto gli auspici della casa di produzione di Barack e Michelle Obama, Higher Ground. Il primo, American Factory -presentato a Park City nel 2019 – è uno dei candidati all’Oscar per la non fiction.
Robert Redford è apparso brevemente prima dell’inizio del film nella sala gremita dell’Eccles (confinati in piccionaia tutti i pass Express, che costano tremilacinquecento dollari, per la prima settimana di festival. La platea era riservata al pubblico «corporate» -presumibilmente autorità e sponsor – spiegavano i volontari. Una vera gaffe).

IL FONDATORE di Sundance non ha introdotto il film, bensì il direttore uscente del festival, John Cooper che, dopo dieci anni alle redini, rimarrà in qualità di «emeritus». Il successore -probabilmente già scelto- sarà annunciato solo dopo la fine della manifestazione. Fino ad allora sarà Cooper a fare gli onori di casa per i film più attesi, come Crip Camp, che era solo uno dei tre titoli Netflix in programma il primo giorno.
Il crip del titolo è un’abbreviazione di crippled, menomato. Non certo una definizione politically correct di «disabile», ma i registi del film, Nicole Newnham e Jim Le Brecht, hanno avuto la saggezza di non ripudiare l’irriverenza dei pre-politically correct Sixties, in cui sta il cuore della loro storia. Il cosiddetto crip camp, una colonia estiva per ragazzi disabili fondata negli anni cinquanta, si chiamava realtà Camp Jened. La sua location, nel cuore delle Catskills, a pochi chilometri da Woodstock, evoca immediatamente lo spirito della controcultura con cui, il gruppo di hippies che rilevarono la colonia nei tardi anni sessanta, gestivano questo esperimento unico, filmato, tra il 1971 e il 1973 dal distaccamento locale del collettivo People’s Video Theater. Le loro immagini (le più libere e belle del film -forti della lezione dei Leackock, Maylses e Pennebaker, con un tocco di Tod Browning), quasi sempre in bianco e nero, chiaramente frutto di lunghe giornate trascorse con i ragazzi, rivelano una comunità quasi completamente gestita da teen ager disabili, senza gerarchie (il direttore del campo, Larry Allison, è una figura periferica del film; minima la separazione tra sessi), immersi in lunghe discussioni sui rapporti con il mondo «normale» e i genitori iperprotettivi, quando non sono stonati, flirtano, giocano in piscina o sono impegnati a combattere un’epidemia di pidocchi. «Era Utopia», dice una di loro intervistata oggi: «il mondo esterno non esisteva». Le Brecht, il co-regista e un noto tecnico del suono, che ha avuto l’idea del documentario, era parte della colonia – un ragazzo bellissimo con i capelli lunghi biondi, sulla sedia a rotelle dalla nascita per via della spina bifida, una malformazione del sistema nervoso periferico. «Sarai tu a doverti fare avanti con gli altri. Perché nessuno verrà da te», gli aveva spiegato suo padre da bambino. «Se hai una personalità un po’ passiva e sei disabile sei fottuto», afferma un altro giovane ospite di Camp Janed, durante uno dei meeting di gruppo.

DA QUELLE estati passate insieme, nello spirito dell’utopia, si sviluppa la seconda parte del film, e la più riconoscibilmente obamiana – quella dell’attivismo. È infatti dal gruppo di Camp Jened – in testa a tutti Judy Heuman, una forza della natura a capo dell’occupazione storica dell’ufficio di Sanità di San Francisco, nel 1977, in cui le Black Panthers portavano da mangiare ai disabili assediati persino dall’Fbi; avrebbe lavorato per le amministrazioni Clinton e Obama- che sarebbe nato il movimento per i diritti civili dei disabili. Fu una battaglia (durata fino alla presidenza di Bush Sr.) -si legge tra le righe di questo film, convenzionale, ma miracolosamente poco sentimentale e accondiscendente – resa possibile dallo spirito del tempo. La dissonanza con l’oggi e molto forte. Taylor Swift (con il film Miss Americana) era in seconda serata il primo giorno, in un’edizione che si anticipa dominata dalla non fiction, e che include l’esordio di due doc prodotti dal New York Times.