Già molto prima di apprendere l’esistenza e i contorni del “Mondo di mezzo”, quando ancora non si conosceva la triste parabola della cooperativa “rossa” 29 giugno – che da fiore all’occhiello del Terzo settore diventa in quattro anni uno dei gangli della “mafia Capitale” – di Salvatore Buzzi (l’uomo spesso ritratto con alle spalle l’immagine del Terzo Stato), il tema della legalità e della trasparenza era uno dei crucci di Mauro Lusetti, neo presidente della Legacoop che martedì prossimo aprirà a Roma il congresso nazionale con una relazione dove parlerà anche di corruzione e lotta alle mafie, alla presenza di Don Ciotti. «Quattro gli argomenti al centro della dibattito per un congresso che – spiega Lusetti – sei mesi fa abbiamo scelto di anticipare a dicembre proprio per discutere una serie di questioni urgenti: la costruzione dell’alleanza dei cooperatori italiani con Confcooperative e Agci, il riposizionamento strategico delle cooperative in un mondo che è già cambiato sotto i colpi della crisi, i conseguenti riassetti organizzativi, e la lotta a tutte le illegalità». Dunque, le ultime vicende che sconquassano la vita della Capitale non fanno altro che «sottolineare la necessità di affrontare questi temi».

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Perché avevate già scelto di puntare l’attenzione sulla legalità?

Siamo partiti da due elementi simbolo per posizionare in modo chiaro e preciso il movimento cooperativo nel versante della legalità: il primo è la lotta alle false cooperative dietro le quali si nasconde il dumping contrattuale, il lavoro nero e l’evasione fiscale, soprattutto nel campo della logistica e dei servizi.; il secondo è la gestione dei beni confiscati alla mafia. Proporremo la raccolta di firme per una legge di iniziativa popolare per il contrasto alle false cooperative e ci costituiremo parte civile a un processo simbolo che individueremo tra i tanti che si aprono ogni settimana.

Eppure dopo aver appreso che secondo gli inquirenti al centro del sistema politico-mafioso di Roma c’era una cooperativa sociale “rossa”, in molti chiedono una «rifondazione etica» del mondo cooperativo. Susanna Camusso vi ha attaccato duramente…

Un attacco senza motivo, una generalizzazione incommentabile. Credo che la segretaria della Cgil rispondesse più a una polemica politica ma allora si rivolga al governo non a noi. Mi aspetto invece che il sindacato sia al nostro fianco nella battaglia per un mercato pulito, legale e trasparente. Detto questo dobbiamo fare i conti anche in casa nostra. Avevamo già appreso dalle cronache del coinvolgimento in affari sporchi di qualche cooperativa, soprattutto nel caso del Mose dove si è arrivati perfino al patteggiamento e dunque all’ammissione del reato. Fare i compiti a casa è dunque decisivo.

A 170 anni esatti dalla fondazione della prima vera cooperativa a Rochdale, sente il bisogno di un richiamo forte ai principi valoriali fondativi?

Viviamo in uno dei Paesi dove l’evasione fiscale e l’illegalità è maggiore che nel resto d’Europa e anziché distinguerci, il mondo cooperativo qualche volta si è omologato. Per questo i cooperatori chiedono una sorta di rifondazione: in un mercato così fatto, se ci omologhiamo perdiamo comunque. Abbiamo una unica strada per vincere e affermare la validità delle nostre cooperative che è quella di affermare il livello di distintività. Uscire dalla logica di dover scegliere il minor danno: se perdere un appalto o perdere la reputazione.

Proporrà di cambiare le regole di accreditamento, di trasparenza e di sorveglianza?

Sicuramente c’è un problema di controlli, ma non basta. Noi abbiamo certamente una serie di proposte. Proporremo di riprendere con forza il sistema duale: non un solo Cda dentro le cooperative, ma anche un consiglio di sorveglianza e di gestione, con la presenza di consiglieri indipendenti esterni. Discuteremo delle modalità che consentano di rendere più trasparente, aperta, democratica e visibile la gestione. Per esempio l’anagrafe tributaria e patrimoniali dei cooperatori. Se vogliamo tradurre in termini concreti il ritorno alla sobrietà nei comportamenti dobbiamo parlare di mandati a termine, di ricambio generazionale, di gestione del rapporto tra i livelli retributivi. Non parlo di limiti, perché ogni settore è diverso, ma dovremo anche pensare a un rapporto tra lo stipendio massimo e lo stipendio medio all’interno di ciascuna cooperativa. Queste iniziative concrete sono spesso prassi quotidiana ma devono diventare elemento esteso e diffuso. Abbiamo la necessità di riprendere anche una sana abitudine del passato: la partecipazione delle associazioni di settore alla vita della cooperativa. Per esempio, nel caso della cooperativa il manifesto, nelle riunioni del vostro Cda dovrebbe sedere, almeno nei passaggi importanti, un rappresentante di Mediacoop.

In questo modo sarebbe più facile controllare cooperative come la 29 giugno, che fa parte della Legacoop, passata da un milione di euro di fatturato nel 2010 a 16 milioni nel 2014, attestandosi a capo di una holding che fattura oggi – dati della magistratura – quasi 60 milioni di euro?

Stiamo attenti però: stiamo parlando di un gruppo che è cresciuto in modo omogeneo fino al 2010, per poi avere un’impennata nel triennio fino al 2012. Ma non è un indizio: qualsiasi impresa può aggiudicarsi un paio di buon appalti e raddoppiare velocemente il fatturato. Comunque nella realtà laziale la Lega delle cooperative fattura complessivamente più di 4 miliardi, quindi parliamo di una realtà tra le tante. Inoltre la 29 giugno ha più di mille dipendenti ma molti meno soci, e i lavoratori non sono a rischio perché seguirebbero le commesse che eventualmente potrebbero essere affidate ad altre società per effetto di questa inchiesta. Il discrimine, mi creda, non è tra piccolo e grande ma tra onesti e disonesti. Quando facciamo la battaglia sulle false cooperative parliamo di quelle medio-piccole, non le grandi. Comunque, appena abbiamo appreso dell’inchiesta di Pignatone ci siamo comportati con la necessaria determinazione: abbiamo espulso le persone inquisite o arrestate, commissariato la Legacoop del Lazio, abbiamo deciso di costituirci parte civile nei processi e ci siamo messi a disposizione dei commissari che hanno preso in gestione le cooperative di Buzzi.

Diceva però che tutto questo non basta. Cosa occorre allora?

Il problema non si risolve se, oltre ai controlli esterni che nel 99% dei casi sono ex post, non si introducono anche meccanismi di controllo dall’interno delle cooperativa. Sono convinto che dobbiamo portare fino in fondo il nostro percorso di autonomia dai partiti, che è la nostra storia più recente. Cito sempre Ivano Barberini, leader storico delle coop, che diceva: «Scegliete come dirigenti i migliori tra voi e controllateli come i peggiori». Lo cito perché è emblematico della necessità di ridare ai soci la consapevolezza del loro ruolo. E soprattutto dare loro strumenti di formazione per essere messi nella condizione di rafforzare i sistemi di governance interni alle cooperative.

In Italia ci sono 2700 cooperative sociali, che impiegano 110 mila persone con un valore della produzione complessivo di 3,7 miliardi di euro, di cui 1670 gestiscono servizi socio-sanitari assistenziali ed educativi e 880 sono finalizzate all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate. Non crede che se i lavoratori sono ex detenuti o ex tossicodipendenti, la vigilanza interna di per sé potrebbe essere depotenziata?

Il problema non sta nel settore sociale ma negli appalti pubblici, di opere e di servizi. La corruzione non è una questione di internalizzazione o esternalizzazione, basti pensare alla Parentopoli nelle società municipalizzate. Si riformi il codice, piuttosto: per esempio, riducendo le stazioni appaltanti dalle 3 mila odierne a 35, perché così il sistema non è gestibile. È urgente una semplificazione legislativa, perché i cambiamenti continui quasi semestrali originano incertezze e complicazioni. Poi c’è una cosa che ho detto più volte ma che tutti lasciano cadere: la corruzione e l’evasione fiscale si combattono bene anche con la reintroduzione del falso in bilancio. Ricordiamoci che le cooperative, in una società fortemente divisa e disgregata, hanno contribuito a mantenere la coesione sociale. Questo brutto episodio romano ci interroga ma non cancella una realtà quotidiana. E storica.

L’intero Paese ieri ha detto no al Jobs Act a cui la Lega delle cooperative non si oppone. Ma la flessibilità dei contratti o i pagamenti con i voucher, per esempio, non rischiano di aumentare l’opacità delle cooperative, o il divario di retribuzione tra dirigenti e lavoratori?

Abbiamo una posizione riassumibile così: c’è bisogno sicuramente di una riforma della legislazione del lavoro. E nel Jobs Act ci sono cose che condividiamo, altre meno. Ora che è passata la legge delega, vanno scritti gli articoli e spero che si possano prendere in considerazioni una serie di questioni che nel dibattito sono state oscurate dalla diatriba sull’articolo 18. Un tema, questo, che non ci ha né appassionanto né coinvolto. Siamo molto più interessati a discutere del cosiddetto demansionamento, per esempio. I mestieri cambiano rapidamente con la tecnologia e non è pensabile difendere la rigidità esistente oggi. Siamo favorevoli al salario minimo, anche, per contrastare il dumping contrattuale, e alla riduzione drastica dei contratti flessibili. Di sicuro, non siamo noi quelli che useranno il voucher perché per batterci contro le false cooperative bisogna rimanere nell’ottica dell’applicazione dei contratti. Noi ci poniamo l’obiettivo di aumentare la qualità dei servizi, senza la quale viene indebolita la stessa battaglia contro le gare d’appalto al massimo ribasso.

Tira un brutta aria anche per l’editoria cooperativa: il taglio retroattivo dei fondi statali anche per il 2013 contribuirà alla moria di testate giornalistiche. Secondo Mediacoop, una quarantina di testate hanno già chiuso e a rischio ce ne sono oltre 80. Cosa intendete fare?

Attraverso Mediacoop abbiamo fatto e stiamo facendo tutto il possibile, in termini di attenzione e di iniziativa politica. Ne parleremo anche al congresso perché la pluralità dell’informazione è un servizio alla democrazia e alla libertà di un Paese.