Hanno scritto e detto di lei che è spigolosa, quasi urticante nei suoi testi, che pure grondano poesia (mai consolatoria, sia chiaro: qui non trovate rime «cuore e amore»). Tutto vero, perché Simona Norato non è autrice che le mandi a dire travestendo l’urto di una realtà come la nostra. Lì ci sono davvero gli spigoli che lacerano la carne e le idee, non nelle canzoni di questa figlia di Sicilia capace di operare sintesi fulminanti e piuttosto desolate sulla contemporaneità. C’è di più, perché Norato non è musicista e autrice che ami battere all’infinito le medesime piste musicali: ogni brano del disco sembra quasi un tuffo nella possibilità di nuotare in acque diverse. E se l’apertura di un Un solo grande partito, ispirata all’Orwell di 1984, ma straordinariamente adatta al neopensiero unico cripto razzista e fascista oggi imperante, declina molte possibilità folk rock, altrove la musica sembra quasi svuotarsi. O imporsi con strumentali storti e sbilenchi. Per lasciar poi risuonare una voce che è un ventaglio di possibilità, come succede nel più maturo indie rock figlio delle intuizioni di Björk ed altre signore d’antan.