La patria del pallone sul piede di guerra per colpa del calcio, e adesso chi pensava che l’attuale Confederations Cup e i prossimi Mondiali sarebbero stati una festa è costretto a fare i conti con una situazione fuori controllo in un clima generalizzato di rivolte sociali. Le violente proteste di giovedì sera in oltre cento città brasiliane, messe a ferro e fuoco da più di un milione di manifestanti, hanno drammaticamente messo a nudo l’insoddisfazione e la sofferenza di un paese attanagliato da una diseguaglianza sociale divenuta ormai insostenibile, tanto da mettere in crisi persino la stabilità di governo.

Dopo le scene di guerriglia urbana verificatesi dal nord al sud del Brasile, con un saldo provvisorio di 2 morti e 77 feriti, la presidente Dilma Roussef non ha potuto fare altro che annullare il viaggio diplomatico previsto in Giappone e convocare una riunione d’urgenza a Brasilia dell’intero governo, nel tentativo di trovare una soluzione per placare il malcontento sociale. Sul tavolo del governo un nuovo ispettore anti-corruzione al ministero delle finanze e un fondo immediato per la metro di San Paolo.

[do action=”citazione”]Esasperati dai costi astronomici del calcio, milioni di persone si rovesciano in piazza: invece di stadi vogliono metro, scuole e ospedali. Mea culpa della presidente Dilma: «Richieste giuste, interverremo»[/do]

Quella che inizialmente sembrava una semplice protesta contro l’aumento delle tariffe dei trasporti pubblici si è infatti presto tramutata, per ammissione della stampa locale, in una rivoluzione generalizzata senza precedenti nella storia recente del Brasile. Gente di ogni età ed estrazione sociale si è riversata per strada, sfogando la propria rabbia contro le contraddizioni sociali amplificate dagli enormi investimenti affrontati per organizzare l’attuale Confederations Cup e i Mondiali dell’anno prossimo, costati già la bellezza di 30 miliardi di dollari. Una spesa inaccettabile per milioni di brasiliani che, in questo modo, hanno visto calpestato il loro diritto a un sistema sanitario dignitoso, a un’istruzione accessibile e, soprattutto, all’eguaglianza sociale e alla redistribuzione della ricchezza in un paese dove oltre il 60% della popolazione continua a vivere sotto la soglia di povertà.

[do action=”quote” autore=”La presidente del Brasile Dilma Rousseff”]«La gente ha lanciato un messaggio inequivocabile, che il governo non può ignorare. Dalla strada è arrivata una richiesta legittima, di ospedali e scuole migliori, di diritto alla partecipazione e di ripudio della corruzione»[/do]

La Confederations Cup e il circo del pallone sono così divenuti il pretesto per esigere un cambio radicale. «I brasiliani hanno aperto gli occhi», recita uno degli slogan più in voga tra i manifestanti, mentre la presidente Roussef ha ammesso di non poter ignorare la rivolta sociale in atto: «La gente ha lanciato un messaggio inequivocabile, che il governo non può ignorare. Dalla strada è arrivata una richiesta legittima, di ospedali e scuole migliori, di diritto alla partecipazione e di ripudio della corruzione», ha affermato la prima cittadina subito dopo le rivolte di giovedì sera. La riduzione delle tariffe dei trasporti pubblici in ogni stato annunciata mercoledì non ha placato la furia della gente, che adesso pretende molto di più e non ne vuole sapere nulla di gol e jogo bonito.

«Questa volta il calcio non ci metterà a tacere», cantava la gente per le strade, chiedendo a gran voce la sospensione della Confederations Cup e la rinuncia a ospitare i prossimi Mondiali.

I feroci scontri con la polizia e il clima di militarizzazione che si respira nelle principali città brasiliane, tuttavia, non fermerà il carrozzone del pallone. «La Coppa andrà avanti», ha annunciato la Fifa, nonostante rumor e speculazioni su un possibile ripensamento dopo le rivolte di giovedì sera, quando migliaia di persone hanno cinto d’assedio i palazzi delle istituzioni arrivando a sfiorare il ministero degli Esteri a Brasilia. Lo spettacolo, quindi, andrà avanti come se nulla fosse, con il rischio che l’escalation di violenza sfoci in una sanguinaria guerra senza quartiere.

Le immagini dei saccheggi e degli incendi appiccati per le strade, così come le scene dei feroci scontri tra polizia e manifestanti , hanno fatto il giro del mondo, facendo da cassa di risonanza a una rabbia popolare che promette di aumentare in concomitanza con tutte le prossime partite, a cominciare da Brasile-Italia di oggi.

Ecco perché, nonostante la riunione d’emergenza dell’esecutivo di Brasilia, l’allerta è massima in vista della partita di questa sera della Nazionale a Salvador, uno dei centri più caldi delle rivolte popolari. «Non ci fermeremo, domani (oggi per chi legge, ndr) saremo ancora più arrabbiati e numerosi», promettevano i manifestanti mentre la polizia in assetto antisommossa cercava di reprimere le proteste con i lacrimogeni e proiettili di gomma sparati ad altezza uomo.

La probabilità che questa sera si verifichino nuovi incidenti è dunque altissima, mentre il ministro della Sicurezza di Rio de Janeiro, José Mariano Beltrame, ha ammesso l’impreparazione delle forze dell’ordine nel far fronte a una violenza sociale mai sperimentata fino ad oggi: «Non siamo riusciti a controllare la situazione perché le manifestazioni hanno assunto una dimensione inusitata. Ci troviamo ad affrontare un clima d’intolleranza difficile da contenere», ha ammesso Beltrame, cercando di giustificare le critiche della stampa per i violenti metodi repressivi addottati dalla Policia Militar e dai reparti speciali contro manifestazioni dai toni inizialmente del tutto pacifici. Stasera, a Salvador, nuovo round.