Il segretario di stato John Kerry, che ha concluso ieri il suo viaggio in Europa – dopo Vilnius, dove ha partecipato al Consiglio europeo informale dei ministri degli esteri, ha fatto tappa a Parigi e poi a Londra – ha proposto: “Assad potrebbe restituire l’integralità dell’arsenale chimico alla comunità internazionale” e cosi’ evitare l’attacco. La Russia ha ripreso la proposta. Ban ki-Moon, segretario generale dell’Onu, propone la distruzione delle armi chimiche siriane – pare mille tonnellate – sotto il controllo dell’Onu. Per il primo ministro britannico, David Cameron, sarebbe un “grande passo” se la Siria accettasse. Serguei Lavrov, ministro degli esteri russo che ieri ha ricevuto a Mosca il suo omologo siriano Walid Muallem, rivela: “abbiamo trasmesso questa proposta al ministro degli esteri siriano, che è a Mosca, e speriamo in una risposta rapida e positiva”. Kenneth Roth, ex direttore di Human Right Watch, approva: “Assad nega di aver utilizzato le armi chimiche, allora perché non le consegna all’Onu?”. Lavrov insiste, come un giocatore di scacchi: “per Damasco e Mosca una soluzione politica resta possibile”. Walid Muallem approva, a parole: “siamo pronti a partecipare a un incontro a Ginevra senza pre-condizioni, siamo anche pronti al dialogo con tutte le forze politiche siriane che vogliono un ristabilimento della pace nel nostro paese”. Per Kerry è “retorica”.

In queste ore, l’urgenza è attendere. L’occidente temporizza sull’intervento in Siria. Obama ha registrato ieri ben sei interviste, da diffondere sulle principali reti tv, per cercare di convincere il Congresso a votare a favore dell’intervento. “Disperazione o fiducia?” si chiede il Christian Science Monitor, sull’amletico presidente che affronta la sua “settimana critica” nella ricorrenza dell’11 settembre. Oggi, Obama farà un discorso alla nazione per convincere un’opinione pubblica che resta a maggioranza ostile. Lavrov ha ripetuto i rischi regionali: “sempre più voci di politici e dirigenti internazionali condividono la nostra opinione secondo la quale uno scenario di ricorso alla forza porterà a un’esplosione del terrorismo in Siria e nei paesi vicini e un importante flusso di rifugiati”.

A Londra, il ministro degli esteri William Hague ha assicurato Kerry che “gli Usa hanno il nostro totale sostegno diplomatico” se decideranno l’azione, anche se la Camera dei comuni ha bocciato la partecipazione militare britannica. Kerry ha comunque confermato: “le prove parlano da sole”, rispetto alla responsabilità del regime di Assad nell’attacco chimico del 21 agosto. Per Kerry tre persone controllano le armi chimiche in Siria: “le sorvegliamo da un bel po’ – ha detto il segretario di stato Usa – sono controllate da un gruppo molto ristretto all’interno del regime, lo stesso Bachar al-Assad, Maher Assad, suo fratello e un generale”. La vigilia, domenica a Parigi, Kerry aveva anche incontrato dei rappresentanti della Lega araba e del suo segretario generale, Nabil al-Arabi, “unanimi nel dire che il ricorso odioso di Assad alle armi chimiche ha oltrepassato a linea rossa internazionale”. Oggi, in Arabia saudita c’è una riunione delle sei monarchie del Golfo, che sostengono a distanza la volontà Usa di intervenire. Negli Usa, Obama cerca di convincere un’opinione pubblica dove sei americani su dieci sono contrari all’intervento, i due terzi non pensano che sia una questione di sicurezza nazionale, e un Congresso diviso, con un rimescolamento della carte tra isolazionisti e interventi, tra democratici e repubblicani. Il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, non crede a una soluzione pacifica: un fallimento dell’offensiva in Siria sarebbe “un segno di debolezza dell’occidente”. L’obiettivo dell’eventuale intervento resta poco chiaro, secondo alcune fonti Obama avrebbe chiesto di aumentare i 50 bersagli previsti in un primo tempo, ben al di là delle affermazioni di un blitz di pochi giorni, il mandato potrebbe essere di 60 giorni, esteso fino a 90, mentre resta ferma la promessa di non inviare truppe a terra. Oggi dovrebbe votare il Senato, dove sembra che solo un terzo dei rappresentanti abbia già deciso, mentre la Camera potrebbe aspettare fino a due settimane. A fine settimana dovrebbero essere rese note le conclusioni del rapporto degli esperti dell’Onu.

Anche l’alleato Hollande aspetta. Prima il voto al Congresso, poi il rapporto dell’Onu. Il presidente francese dovrebbe rivolgersi alla nazione a fine settimana, venerdi’ o sabato. Ieri, Hollande ha ricevuto i presidenti di Senato e Assemblea, Jean-Pierre Bel e Claude Bartolone. L’opinione pubblica francese resta fortemente contraria all’intervento: secondo un sondaggio realizzato per il Nouvel Observateur, il 56% pensa che l’intervento non sia giustificato, contro il 35% che lo approva. A sinistra gli interventisti sono più numerosi (49%, che salgono al 57% tra i simpatizzanti socialisti), la destra dice “no” al 70%. Il 56% dei francesi ha un’opinione negativa del comportamento di Hollande nella crisi siriana. In Germania, l’Spd critica lo “zigzag” di Angela Markel sulla Siria, che prima ha rifiutato poi firmato il testo sottoscrito al G20 da 11 paesi, “un fiasco completo della politica estera tedesca”, per Sigmar Gabriel.