Un tempo diffuso in tutto il continente eurasiatico, il lupo è stato sterminato in gran parte del suo areale nel corso degli ultimi secoli, soprattutto a causa del conflitto con alcune attività economiche dell’uomo. Per secoli, in tutta l’Europa sono state attuate persistenti politiche di sterminio della specie al solo scopo di eliminare tutti i problemi e i conflitti generati dalla sua semplice presenza. In questa storia di infinita persecuzione, l’Italia non rappresenta un’eccezione.

Ampiamente diffuso sull’intera penisola fino alla metà del XIX secolo, il lupo è stato eradicato sulle Alpi negli anni ’20 e in Sicilia negli anni ’40. Alla fine degli anni ’50 era ormai rarissimo in tutto l’Appennino settentrionale, ma nonostante lo sforzo massiccio investito nella sua eradicazione, alcuni nuclei isolati di questa specie sono sopravvissuti nelle aree montuose, più integre e inaccessibili, dell’Appennino centro-meridionale.

Nel 1972, il primo tentativo di valutare consistenza e distribuzione della specie sull’intero territorio nazionale restituisce la stima di un numero di individui davvero critico per la sopravvivenza della specie: non più di un centinaio di lupi, distribuiti in un areale fortemente frammentato compreso tra i Monti Sibillini e la Sila. In quegli anni abbiamo rischiato l’estinzione locale della specie.
Per far fronte al rischio di estinzione, nel 1976, con il Decreto Ministeriale Marcora, viene sancita la protezione integrale della specie e dunque il divieto di abbattere questi animali.

Da questo momento in poi, il lupo mostra una straordinaria capacità di recupero, ricolonizzando nell’arco di pochi decenni tutto l’Appennino, dall’Aspromonte alle Alpi Liguri, e da qui gran parte dell’arco alpino.
Con sorpresa da parte di molti, in questi ultimi anni si assiste addirittura alla colonizzazione stabile da parte del lupo di aree di bassa collina e di pianura. Il risultato del più recente ed affidabile tentativo di stimare la consistenza della popolazione condotto nel 2015 è di 1.400-2.500 lupi. Oggi si hanno evidenze di lupi a ridosso del fiume Po, lungo tutta la costa tirrenica e anche nella bassa pianura lombarda e veneta.

Come si spiega questo straordinario successo e quali le conseguenze? In modo spontaneo, quindi senza alcun intervento diretto da parte dell’uomo. Certamente, in un paese che ha visto introdurre in natura, legalmente e illegalmente, specie animali di ogni sorta, credere che il lupo sia tornato a popolare le nostre montagne e colline è comprensibilmente difficile. Il lupo è tornato perché si è mostrato abile e preparato a sfruttare l’occasione offerta dallo lo spopolamento della montagna. Sono stati infatti soprattutto fattori di ordine sociale, storico, economico e culturale, che nulla avevano a che fare con la conservazione diretta di questa specie, a determinarne la ripresa demografica e dunque la riespansione dell’areale del lupo.

Non è stato il risultato di una intelligente e lungimirante politica di conservazione della specie, e probabilmente anche da questo trovano spiegazioni gran parte dei conflitti che oggi registriamo sul territorio, compresa il ritorno della «paura» del lupo.

Il rapido e progressivo inurbamento delle comunità rurali, a partire dal secondo dopoguerra, ha portato in tempi relativamente brevi all’abbandono delle aree montane. Questi territori, una volta coltivati o mantenuti aperti dall’attività dell’uomo, si sono progressivamente evoluti in arbusteti e quindi in boschi e foreste, ambienti ottimali per il ritorno degli ungulati selvatici che sono le principali prede del lupo. L’aumentata estensione delle aree boscate, sempre meno frequentate e sfruttate dall’uomo, ha dunque innanzitutto favorito la ripresa delle popolazioni che sono preda del lupo.

A spiegare il successo del lupo è anche la sua plasticità ecologica, ossia la capacità di adattarsi ad habitat e risorse trofiche con rapidità e sorprendente intelligenza, a seconda della loro accessibilità e disponibilità. Un predatore in grado di nutrirsi di grandi prede come di rifiuti urbani. E’ questa forse la forza del lupo.

Da ultimo, ma non ultimo, un aspetto prettamente legato alla sua biologia: i giovani, raggiunta la maturità sessuale, possono abbandonare il proprio branco di origine per tentare di occupare un nuovo territorio in modo indipendente e fondare una nuova unità riproduttiva. E’ attraverso il successo di questi lupi erranti che si sganciano dal nucleo familiare di origine per mettersi in cerca di fortuna che in poco più di quarant’anni è tornato ad occupare di nuovo territori di montagna e di collina ed anche quelli in cui se ne era persa la memoria storica, come la pianura, dove la sua presenza oggi suscita stupore ed entusiasmo, da un lato, e malumori, sospetto, timori quando non addirittura terrore, dall’altro.

I frequenti avvistamenti di lupi anche in prossimità di grandi centri abitati hanno contribuito a rivitalizzare antichi e ben radicati pregiudizi sul lupo suscitando emozioni forti e contrapposte difficili da governare, mitigare e in alcuni casi da ricondurre alla ragione.
Si registra nuovamente, anche se in modo sostanzialmente immotivato, la paura del lupo. Non è più solamente conflitto tra lupo e zootecnia (l’assenza di interventi di prevenzione dei danni e quindi di corrette modalità di gestione del gregge può aprire a scenari di danni economicamente ingenti), tra lupo e attività venatoria (per i cacciatori il lupo è un competitore) ma con l’espansione dell’areale del lupo alla pianura entra in gioco il tema della incolumità delle persone e il rischio di intraprendere soluzioni gestionali sulla spinta emotiva della paura di un incidente è reale e concreto. Si chiede quindi a gran voce di aprire la caccia al lupo.

A non fare i conti con questo crescendo di emozioni contrastanti, tra chi odia e chi ama questo animale, e quindi con una forma del tutto nuova di conflitto, è la legge che ad oggi garantisce la protezione integrale alla specie, con opportune eccezioni.

E’ in questo scenario, di indubbio successo conservazionistico per la specie, che trova origine la recente proposta di abbattimento del 5% dei lupi, in deroga al divieto di uccisione della specie. Sebbene la popolazione di lupo sia in grado di sostenere un tale prelievo (probabilmente il prelievo illegale che i bracconieri realizzano ogni anno è di ben altro ordine di grandezza), questa soluzione non sembra difendibile né in un’ottica di soluzione dei problemi sul fronte dell’impatto dell’attività predatoria del lupo nei confronti dei domestici (eliminare 4-5 lupi per regione non sposta gli equilibri) né sul fronte della mitigazione del conflitto con l’attività venatoria. Potrebbe far sentire più tranquille le persone che hanno il terrore del lupo?

Forse, ma a queste persone dovremmo ricordare che negli ultimi 200 anni non si hanno evidenze di attacchi da lupo all’uomo (il lupo è specie solo potenzialmente pericolosa) e che una semplice ricerca sulle ragioni per cui si ricorre alle cure dei pronto soccorso in questo paese potrebbe essere più che sufficiente per rendere evidente che corriamo rischi infinitamente maggiori nel momento in cui realizziamo attività banali come attraversare una strada, salire una scala, utilizzare un elettrodomestico, e via dicendo.
In una prospettiva di minimizzazione del rischio sul fronte della incolumità delle persone è invece importante non offrire al lupo occasioni di abituazione all’uomo, ad esempio somministrando cibo, sia consapevolmente che inconsapevolmente. Se con i nostri comportamenti sapremo mantenere una adeguata distanza «fisica e culturale» tra noi e i lupi, allora non correremo alcun rischio reale, altrimenti dovremo accettare un aumento della probabilità che possa verificarsi qualche incidente, ma in tal caso la responsabilità sarà esclusivamente nostra.

Infine è importante sottolineare che allo stato attuale dello nostre conoscenze, il comportamento di ibridi lupo per cane, purtroppo presenti lungo tutta la catena appenninica, non mostra differenze almeno a livello macroscopico con il comportamento di lupi geneticamente puri. Gli ibridi lupo per cane non sono quindi più pericolosi dei lupi puri, come si è invece portati a pensare. L’ibridazione è piuttosto una seria minaccia per la conservazione del patrimonio genetico del lupo. Con il progetto LIFE MIRCO-Lupo, finanziato dall’Unione Europea, stiamo lavorando per minimizzare gli effetti negativi dell’ibridazione sulla conservazione del patrimonio genetico del lupo anche attraverso la verifica sperimentale della sterilizzazione degli ibridi.