Come spesso accade in letteratura, non è la lunghezza di un testo a farne la grandezza, ma la sua capacità evocativa e immaginifica. Nelle sue circa quaranta pagine, L’uomo seme di Violette Ailhaud (edito da Playground) parla del potere della vita, della forza del desiderio, dello sfregio distruttivo delle guerre, della sanguinosa repressione scatenata da Napoleone III nel 1852 contro i repubblicani nel sud della Francia e, per contrasto, della capacità femminile di creare una socialità alternativa ripensando anche la relazione con un uomo.
Scritto nel 1919 e tenuto segreto per volontà dell’autrice, morta nel 1925, fino al 1952, questo lungo racconto si dice autobiografico e gli ci vorrà un altro mezzo secolo per essere pubblicato in Francia da Editions Paroles nel 2006. Da lì in poi la sua fama è cresciuta grazie alla forza del passa parola. Tradotto in molte lingue, trasposto in fumetto e testo teatrale, in Italia lo ha messo in scena Sonia Bergamasco che lo riporterà al teatro Franco Parenti di Milano dal prossimo 26 febbraio fino al 3 marzo. L’attrice e regista ne ha parlato sabato scorso con Lilli Rampello alla libreria delle donne di Milano. La sala era così affollata, anche di uomini, che c’era gente in piedi, segnale più che confortante per i tempi che corrono e che spiega anche perché un così piccolo libro sia diventando un long seller.

LA FORZA de L’uomo seme sta nella storia ricca di simbolico e che muove mille riflessioni. «Ho deciso di raccontare quel che è successo dopo l’inverno del 1852 perché, per la seconda volta in meno di settant’anni, il nostro villaggio ha perso tutti i suoi uomini. L’ultimo è morto il giorno dell’Armistizio, l’11 novembre scorso», scrive Violette Ailhaud nell’introduzione. Le donne del villaggio decidono così di stringere un patto. Il primo uomo che arriverà sarà di tutte per spartirsi il suo seme e rispondere a un bisogno primario, «quel richiamo di vita che arriva dall’alba dell’umanità e addirittura dal mondo animale: la riproduzione».
La prima donna che l’uomo toccherà sarà anche la prima che potrà unirsi a lui, ma dopo dovrà accoppiarsi anche con le altre per ridare vita al villaggio. Quando l’uomo arriva, però, la forza del desiderio e la fascinazione introducono una novità nel corpo e nella mente della protagonista. I due si innamorano, si desiderano, merito anche del comune amore per i libri perché, scopre lei: «L’uomo legge, ed è una cosa rara. Per me, un uomo che legge non può che essere una brava persona».

POI LUI rispetterà il patto, farà quel lavoro perché lo ritiene un suo dovere, perché gli piacciono le cose ben fatte, e lo farà con piacere perché gli fa sempre piacere fare quello che c’è da fare, ma lo farà senza amore, perché quello lo terrà per loro due.
Nel dialogo seguito alla presentazione alla Libreria delle donne qualcuno ha chiesto se questa storia sia vera o no. Che sia successa davvero così, o in parte, non conta nulla. Ciò che importa è la capacità di immaginarla e scriverla perché dà voce a un immaginario diverso, quello della vita contro la stupidità e la violenza di chi dà la morte, dell’amore contro il potere, del bene comune contro l’arcigno possesso, del desiderio contro l’oppressione, della capacità di vivere un amore in modo esclusivo senza farlo diventare escludente. E tutto ciò viene fatto insieme, lei con lui, lui con le altre donne. I figli nasceranno e saranno di tutto il villaggio.
Se una donna ha scritto tutto ciò significa che lo ha pensato, e se lo ha pensato vuol dire che lo ha desiderato. E’ un desiderio di vita. E’ il senso primario del mondo.

mariangela.mianiti@gmail.com