Come un James Bond vintage, o una delle sue euro-imitazioni degli anni ’60, l’Uomo ragno prende, come si suol dire, armi e bagagli e se ne va a spasso nel vecchio mondo. Dopo avere annullato l’apocalisse secondo Thanos, pianto Tony Stark/Iron Man e accettato che Capitan American si ricongiungesse con la sua età biologica, Peter Parker ha deciso di prendersi una pausa.

«FAR FROM HOME» ha il sapore di una delle saghe scritte da Gerry Conway negli anni ’70 e disegnate da Ross Andru. Come dire che non siamo nella produzione mitica Lee/Romita, ma nell’era di coloro che hanno proiettato nel futuro l’eredità marvelliana. Certo il tocco del film deve molto a Sara Pichelli, l’artista che probabilmente negli ultimi anni ha maggiormente contribuito a modificare l’immagine del tessiragnatele nell’immaginario delle giovani generazioni. L’attenzione con il quale sono tratteggiati gli adolescenti (menzione d’onore per la spettacolare Zendaya nei panni di MJ), con una cura quasi cartoonesca nel tratto ma attentissima alla loro dimensione emotiva, è un piccolo capolavoro sincretico fra fumetti e sintesi da serialità tv trasportata a dimensioni da grande schermo.

L’idea di ambientare in alcuni dei luoghi più riconoscibilmente turistici i classici set-piece a base di acrobazie e distruzioni richiama ovviamente sia il marketing instancabile e pervasivo che sta alla base del Marvel Cinematic Universe, ma dall’altro evidenzia come il mondo stesso sia ormai un potenziale set da popolare di inseguimenti e combattimenti. Il Mcu, il più grande ipertesto di tutta la storia del cinema, un mitologema unico in grado di offrirsi come il documentario perenne della sua stessa mitopoiesi, per funzionare correttamente deve necessariamente essere globale; a immagine della Marvel che – a differenza della DC – è sempre stata la casa dei misfit e dei dropout. Far From Home, inteso sia come New York con i suoi canyon che si sviluppano fra i grattacieli, che come lontananza da un contesto identificabile come esclusivamente statunitense, indica la sostanziale adattabilità del sistema Marvel a coordinate narrative sempre nuove o diverse.

L’UOMO RAGNO, in questo senso, interagisce con il resto mondo, con la consapevolezza di essere un simbolo e un segno; ed è esattamente questo il modo in cui gli spettacolari voli del Ragno fra i canali di Venezia o sul London Bridge s’inseriscono sullo sfondo di vedute proverbiali. Ovviamente i puristi avranno da ridire sulla riscrittura di Mysterio, uno dei villain più affascinanti della Marvel. Apparso per la prima volta in The Amazing Spider-Man n. 13 del 1964 ad opera di Stan Lee e Steve Ditko, Quentin Beck è un drago degli effetti speciali e delle illusioni. Nel corso degli anni l’eredità di Beck è stata raccolta da altri aspiranti illusionisti ma il film di Jon Watts (autore dell’ottimo Cop Car) si concentra su Beck aggiornando la sua tecnologia ai droni e agli ologrammi. Per Watts, Mysterio è una messa in abisso delle strategie narrative del cinema contemporaneo e forse addirittura una riflessione su come gli effetti speciali siano diventati tutto il cinema a Hollywood.

Non è un caso che una delle immagini più interessanti del film veda Mysterio sospeso nell’aria con i suoi droni privi della copertura degli effetti speciali. I droni – punti neri nel vuoto – evocano inevitabilmente il processo della motion capture che, profetizzata da Robert Zemeckis, domina ormai nel cinema contemporaneo. Spider-Man: Far From Home è una divertente riflessione teorica sull’immagine contemporanea, e sul suo valore di verità. Anche per l’Uomo ragno è giunto il momento di fare i conti con la post-verità.

E SE non appartenete alla categoria di spettatori che si danno alla fuga non appena iniziano a scorrere i titoli di coda, ci sono due frammenti che forniscono gustose anticipazioni sul prosieguo della vicenda. Iron Man sarà pure caduto in battaglia, ma Spider-Man è vivo e vegeto.