Il silenzio interrotto solo da qualche colpo di tosse che rimbalza verso i soffitti altissimi; decine di persone concentrate su volumi aperti, illuminati dalla luce gialla di lampade con paraluce di metallo; il carrello in avanti scorre veloce tra i lunghi banchi di legno della reading room della New York Public Library, diritto fino alla porta d’ingresso che si spalanca per lasciare entrare… Elizabeth Hartman, in miniabito giallo squillante, con cinturone bianco, sull’attacco musicale di Beautiful Girl, dei Lovin’ Spoonful.

Rapita, la macchina non può che abbandonare il suo movimento ordinato, perpendicolare, e seguirla vorticosamente.
Fresco di Ucla, nel 1966, Francis Coppola scelse quella combinazione di «sacro e profano» per iniziare il suo primo film, You’re Big Boy Now, storia di un vergine diciannovenne (Peter Kastner) impiegato alla Public Library che – dalle grinfie della famiglia iperprotettiva a Long Island – si butta alla conquista della sua tarda pubertà nella Manhattan dei Sixties. Il romanzo di formazione, profumato di Nouvelle Vague, che sarebbe diventato la tesi di laurea di Coppola (con l’aiuto finanziario della Seven Arts), è adattato da un libro di David Benedictus, ma l’intuizione immediata delle straordinarie possibilità visivo/narrative offerte dal set di un biblioteca – e di una biblioteca mitica come quella – sono tutte del giovane regista.

I CORRIDOI LABIRINTICI contrapposti alle grandi arcate che sovrastano il vasto atrio d’ingresso, le file di scaffali, che si offrono così bene alla suspense, il montacarichi in cui i libri «chiamati alla reading room», o destinati ad essere riposti, viaggiano su e giù (e di cui Peter si serve come ascensore personale), il percorso «avventuroso» dei cilindri metallici in cui ogni richiesta di un volume viene spedita nelle viscere dell’edificio, dove sarà soddisfatta.

Coppola cattura quasi tutto già nella sequenza d’apertura e viene il dubbio che – probabilmente a scuola – avesse visto un altro primo film molto famoso, Toute la memoire du monde (1956), di Alain Resnais, venti minuti d’esplorazione in bianco e nero della parigina Bibliothèque nationale de France, con voice over da documentario educativo tipo «visita a», dietro a cui si intravede già la riflessione sul tempo e sulla memoria che attraverserà l’opera del grande autore francese.
Se lo spazio sia fisico che metaforico della biblioteca sembra fatto per il cinema, la New York Public Library merita una sua filmografia dedicata. È lì che in Colazione da Tiffany, Georges Peppard porta Audrey Hepburn, abbigliata in uno straordinario cappottino arancione forte, cercando di farla sedurre dal mistero di una parete piena di schedari, dietro a cui si nascondono nomi per lui preziosi come diamanti.

Ma Audrey/Holly, dopo aver cercato invano di far colpo sulla bibliotecaria presentandole «lo scrittore famoso che mi sta accanto» (e cioè Peppard) conclude che, in quanto a divertimento, la biblioteca non sta a paragone con il suo gioielliere preferito. Ed è lì che – scoprendola, assorta nella lettura, dietro a un paio di giganteschi occhiali neri, mentre sta informandosi sul Sudamerica in previsione di sposare il ricco latino, che ha conosciuto qualche sera prima a una festa – Paul/George le dice «I love you!». Tra uno «shhh!» e l’altro.
Il silenzio – o l’interruzione del silenzio – un altro strumento squisitamente cinematografico caratteristico della biblioteca. Ammiccando a sé stesso, il regista di Colazione da Tiffany, Blake Edwards, sarebbe tornato alla Public Library in uno dei tardi capitoli di Pink Panther. Ed è nella Public Library che Bill Murray, Dan Aykroyd e Harold Ramis, in una delle scene più citate del film, incontrano uno dei primi fantasmi di Ghostbusters – un’eterea signora vittoriana, fluttuante e violetta, che tutto d’un colpo si trasforma in un demone ruggente.

LA NEW YORK PUBLIC LIBRARY è una punizione per la «it» girl del cinema indipendente Usa anni 90, Parker Posey, che viene spedita e lavorare alla reading room dopo essere stata arrestata a seguito di una notte brava, in Party Girl, il successo del Sundance 1995. Nella commedia pop diretta da Daisy von Scherler Meyer, tavoli di lettura, schedari e corridoi di scaffali diventano arredi di scena per un vivace numero musicale.

A CONFERMA del magnetismo esercitato dalla NYPL (e in particolare dalla sua sede centrale, l’imponente edificio Beaux Arts, protetto dai due grandi leoni in pietra, che apri, all’angolo tra la Quinta e la Quarantaduesima strada, nel maggio 1911) i film che il sito della biblioteca elenca orgogliosamente di aver ospitato si trovano Prizzi’s Honor, di John Huston, Finding Forrester di Gus Van Sant, Quiz Show, di Robert Redford, Network, di Sidney Lumet e due Spiderman di Sam Raimi.
Quasi a sorpresa – dato il grande amore per la letteratura e l’oggetto stesso del libro di Fred Wiseman – il tributo più grande mai fatto alla New York Public Library è un film che ne trascende quasi completamente l’iconografia. Attraverso l’occhio instancabilmente curioso di Wiseman nel magnifico, e magnificamente commovente, Ex Libris: the New York Public Library, la biblioteca (che è poi un sistema di biblioteche che include molte sedi sia a Manhattan che nel Bronx) non è solo – come nel corto di Resnais – il grande contenitore di tutta la cultura e della memoria del mondo. Ma un glorioso organismo vivente e pulsante, che mette in circolo quella cultura; il sistema sanguigno di una società civile.

È UNA CASA lontano da casa, un palcoscenico, una grotta delle meraviglie, un assistente sociale, un rifugio per gli homeless, persino una baby sitter… Più di tutto – nel film di Wiseman – che inizia con una citazione dalla Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti e intreccia i movimenti, i suoni e le vite di chi frequenta la library a quelli di chi ci lavora – la biblioteca pubblica (e in particolare quella di New York) è l’incarnazione stessa dell’ideale di democrazia.

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SCHEDA. «The Breakfast Club», scaffali per punizione

«Un secchione, una bellezza, un campione sportivo, un ribelle e una sconsiderata…». Così il trailer di «The Breakfast Club» (1985) presenta i cinque studenti che, per punizione, sono costretti a trascorrere 8 ore e 55 minuti del loro week end nella biblioteca del liceo deserto. Diretto da John Hughes – con Emilio Estevez, Molly Ringwald, Ally Sheedy, Judd Nelson e Anthony Michael Hall, che interpretano ragazzi di caratteri ed estrazioni diverse – «The Breakfast Club» (il riferimento alla colazione è per l’orario della punizione, alle 7 del mattino) è teatro da camera trasformato in uno dei classici del teen movie anni 80. Distanti e sospettosi uno dell’altro all’inizio, entro la fine gli studenti trovano spunti d’amicizia e persino scintille romantiche. La biblioteca non ha una funzione particolarmente interessante nel film. Ma il set deve essere rimasto impresso e Estevez perché è proprio in uno analogo che ha ambientato il suo ultimo film da regista, «The Public» (2108) – storia dell’assedio e di una biblioteca di Cincinnati, che scatta quando un gruppo di homeless rifiuta di uscire all’ora di chiusura perché fuori fa troppo freddo. Estevez è l’eroico bibliotecario che li protegge. g.d.v.