Confindustria sbarra la strada alla trovata renziana di mezzo Tfr in busta paga e lancia un vero e proprio monito al premier perché non molli di un millimetro sull’art. 18. I contenuti del discorso del presidente degli industriali Squinzi a Napoli sono duri, nonostante il tono morbido e colloquiale. Segno che a tutt’oggi quelli che D’Alema ha giustamente definito «i padroni» hanno fiducia nell’inquilino di palazzo Chigi. Squinzi infatti lo invita senza giri di parole a concordare con i padroni, pardon gli industriali, ogni scelta: «Sarebbe auspicabile decidere insieme». Detto fatto, ecco cosa il governo deve decidere.

Prima di tutto deve rinunciare all’idea di prelevare dalle casse delle imprese metà Tfr: «L’unico beneficiario sarebbe il fisco. Sparirebbero 10-12 mld per le Pmi. La risposta è no». Ma non bisogna fare Renzi più sprovveduto di quel che è. Persino a palazzo Chigi si rendono conto che il prelievo paventato da Squinzi comporterebbe la chiusura di una quantità abnorme di piccole e medie imprese.

Tuttavia Renzi non intende rinunciare, forse perché è l’ultima esigua arma che gli resta per indurre gli italiani a spendere, risollevando così le sorti della domanda interna. Oppure, come molti nei palazzi sospettano, perché il rischio di arrivare alle urne in primavera c’è tutto. Per Renzi potrebbe anzi trattarsi di un’opportunità più che di una minaccia. Dunque bisogna essere pronti ad affrontare la sfida con qualche sonante argomento da offrire agli elettori: dopo gli 80 euro delle europee, ecco i 100 del proprio Tfr.

La strada per quadrare il cerchio è segnata: quei fondi devono essere prestati dalle banche alle imprese, in modo da compensare la fuoriuscita. Solo che le banche, con Renzi, non sono affatto in buoni rapporti. Non dopo che il presidente del consiglio si è ripreso per vie traverse buona parte delle regalie del suo predecessore Letta. Ad azzardare un credito a basso tasso d’interesse alle Pmi non ci pensano per niente. A meno che a garantire la restituzione non sia l’Inps. Proprio il punto su cui, per ora, si è fermata la manovra Tfr.

Il secondo monito di Squinzi riguarda l’art. 18: sono stati fatti «passi apprezzabili», però «non bisogna regalare l’ultimo miglio alla paura». Quell’articolo va cancellato punto e basta, senza distinguo di sorta. In realtà nemmeno il presidente degli industriali si spinge fino ad affermare che così si creerebbero posti di lavoro. «Non è una legge a creare posti di lavoro, ma una legge sbagliata può distruggerli». Da Assisi un Renzi particolarmente impegnato nel somigliare alla satira di Crozza non si sbilancia: «Ci sono da riparare molte cose in questo paese. C’è da riparare il mondo del lavoro». Meno di così non può dire.

[do action=”citazione”]Paradossalmente, per il leader del Pd scontentare tutti (alleati, imprese, sindacati) potrebbe essere il miglior viatico per andare al voto in primavera[/do]

Entro martedì, però, qualcosa Matteo Renzi dovrà dire. L’Ncd sta con le armi puntate, pronto a gridare allo scandalo di fronte a ogni minima modifica della legge. «Il governo non si fa dettare nulla dai sindacati», strilla Alfano, che di uno scontro frontale almeno con la Cgil ha bisogno come dell’ossigeno per rianimare il suo agonizzante partito.

Fosse solo per lui, pur con dietro tutti i senatori centristi (a giorni unificati), Renzi potrebbe far finta di non sentire, convinto com’è che in nessun caso la galassia centrista possa sfidare la minaccia di elezioni anticipate. Ma un fronte che va dai pigolii Ncd ai moniti di Squinzi alla silenziosa vigilanza degli eurofalchi è altra cosa.

Al momento Renzi resta deciso ad apportare alcune modifiche al testo varato dalla commissione al senato: non può non concedere nulla alla minoranza del suo partito, e una parte almeno delle promesse fatte all’ultima direzione deve entrare nella legge. Ma saranno correzioni quanto più possibile limitate. La parola maledetta, «reintegro», non sarà del tutto cancellata. Ma sarà modulata in modo tale che tradurla in pratica diventerà una missione quasi impossibile. Per il resto, la legge dirà poco e niente. Rinvierà ai decreti attuativi.

Con o senza la fiducia, quella che il senato si appresta a votare non sarà una legge ma una delega in bianco al signor Matteo Renzi. Per la gioia di Giorgio Squinzi.