Si apre un sipario elettrico e sono subito lampi, tuoni, rumori,saette, satori: chitarra, loop station, drum machine a tessere una vela per solcare un oceano buio in tempesta. Avvertiamo già dal primo minuto che siamo al cospetto di un disco immaginifico, torrenziale, importante. Haiku elettro/elettronici, un Blind Willie Johnson asciugato del suo dramma crudo e catapultato in una pellicola nel Grand Canyon. E poi fratture, sincopi, astrazioni, blues cubista, ruggine, cenere, pioggia, polvere. Gabrio Baldacci, schivo e talentuoso, già con Gianluca Petrella e Dinamitri Jazz Folklore, con le sue chitarre parlanti crea mondi: un universo uno e trino, un triplo cd ispirato e sconfinato, senza nemmeno un grammo di adipe addosso. Dalle escursioni avant-tutto del solo alla furia luminosa e sghemba del devastante trio Mr. Rencore con Scardino ai sax e Paoletti alla batteria, jazzcore della più bell’acqua, come i Primus in uno scontro frontale con i Fire!, sino alle svisate del duo con Tamborrino al drum set. Un lavoro eclettico, maleducato, geniale, figlio di un toscanaccio tanto schivo quanto vulcanico: uno dei più belli ascoltati quest’anno.