La prima versione di Perverso e paranoico (Il Saggiatore, pp. 349, euro 26.00) venne impressa nel 1971 in francese dall’editore Danoël col titolo Oui. Non conosco questa edizione ma la seguente, di otto anni più tardi, divisa in due parti Oui I. La révolution paranoïaque-critique e Oui II. L’Archangelisme scientifique, aveva certo dovuto appagare la megalomania del suo autore, dato che né l’immagine né la dimensione dei caratteri in copertina spiccavano per sobrietà. Rizzoli, che l’anno seguente pubblicò il libro in Italia, non volendo esser da meno, fece in modo che il titolo, Sì. La Rivoluzione paranoico-critica. L’Arcangelismo scientifico, occupasse la metà della pagina e che l’altra fosse riservata, non meno vistosamente, alla foto di Dalí seduto su uno scranno mentre tiene al guinzaglio il suo celebre ocelotto.

Il Saggiatore adesso ha fatto il possibile, coll’adeguare la veste tipografica della sua ristampa agli altri titoli della collana, per contenere l’esuberanza di Dalí ma la personalità del pittore deborda ad ogni pagina. Gli artisti catalani mostrano del rispetto per la patina che il tempo depone sugli antichi bronzi, sulle pietre, sui marmi e sugli intonaci d’annosi edifizi? Ebbene, a Dalí questa non evoca nulla se non il genere di contrassegno con il quale i cani marcano territorialmente i marciapiedi! E un antiquario? Cos’è un antiquario? L’artista ha la risposta pronta: è uno che «idolatra la merda».

L’ossessione del cibo
C’è chi non è d’accordo con lui, Dalí gli raccomanda allora di «continuare a succhiare la zuccherosità fine e sporca della conosciutissima estetica contemporanea». In un altro intervento, più tardo ma dello stesso tono, si parla d’un «leggero moccio di trottola di merda della casualità molle e lamentevole», della «trapanazione pisciosa del piccolo principio di contraddizione» e d’altre simili prelibatezze. È un linguaggio comune anche ad altri esponenti del movimento surrealista, a cominciare dal patriarca Breton; l’eufuismo truculento, ostentato ad ogni pagina di questa raccolta, è, tuttavia, prettamente suo.

L’ossessione predominante è costituita dal cibo: il basamento di una colonna modern style gli «sembra dire: mangiami!» mentre le creazioni degli astrattisti le vede come «minestre di vermicelli raffreddate»; e se la mela di Cézanne gli offre un facile gioco, nemmeno Descartes si nega al suo metamorfismo pantagruelico, quel Descartes che ha saputo «aprire l’appetito alle aspettative salivari che sollecitano già la stravagante cucina dello spazio». Non mancano naturalmente i Preraffaelliti. Alle femmes fatales, d’altra parte, si sa, non è mai stato difficile procurarsi dei pomi!

Non è tutto: nell’immaginazione dell’artista catalano sembra quasi che l’intero universo sia assorto in una diuturna, cosmica, digestione. Gli asini schiudono le loro carcasse alla voracità irrequieta di larve e di mosche, bande di formiche percorrono il mondo saccheggiandolo come predoni da fiaba, i ricci marini, le conchiglie, torpidi e indolenti, attendono che il sole disfaccia l’uliginoso rigoglio delle loro polpe.
Pochi scritti dell’artista illustrano altrettanto bene questa lambiccata escatologia gastrica di Rêverie, dove si legge «ho scelto mentalmente una crosta di pane piuttosto bruciacchiata (…) per estrarre minuziosamente la mollica in modo da trasformare questa crosta in una specie di vaso (…) poi, più minuziosamente ancora, servendomi degli incisivi l’avrei masticata, spezzata, appallottolata in piccolissimi pezzetti ben triturati finché il tutto non fosse diventato un fine impasto. Prima di inghiottirlo avrei trattenuto parsimoniosamente questo impasto nella mia bocca (…) poi lo avrei ancora lavorato sperimentando così la sua capacità di adottare diversi gradi di consistenza secondo le proporzioni della saliva».

L’essere più vorace, tuttavia, è Dalí stesso; lo è verso tutti quei prodotti artistici, industriali, letterari ch’egli riassorbe con gran disinvoltura nel suo universo poetico: Böcklin, le comiche di Harry Langdon, le vanitas seicentesche, gli arredi art nouveau, l’Isotta Fraschini, Vermeer, gli incontri di rugby, Meissonier, la mistica spagnola, Arcimboldo, gli aeroplani, Dante Gabriele Rossetti e il blues; e ciò senza contarvi le tre figure che con più evidenza presiedono alla sua fantasia, cioè Bosch, Zurbarán e Rabelais. I titoli sono eloquenti: Della bellezza terrificante e commestibile dell’architettura, Il surrealismo spettrale dell’eterno femminino preraffaellita, La monarchia cilindrica di Guimard. Sulle fantasticherie, ottenute seguendo il metodo paranoico-critico da lui brevettato, si protendono inoltre assai spesso le ombre di Sade e di Lautréamont, sebbene d’un Lautréamont più rifinito e calligrafico; e nella Rêverie, poc’anzi citata, è appunto descritta un’iniziazione sadica alla Justine.

Come la caverna d’Aladino
L’universo creativo ampliamente illustrato dal libro, nel quale Maurizio Fagiolo dell’Arco riconobbe una delle estreme incarnazioni dell’estetismo fin de siècle e dove convivono fulminanti boutades e gongorismi di bigiotteria, potrebbe immaginarsi, in definitiva, come una profonda, immane caverna d’Aladino. Nella grotta, vasta e magnifica, giacciono negletti in torniti forzieri i tesori d’ogni età, le spezie d’ogni paese ma anche le masserizie d’ogni popolo e i trastulli d’ogni bimbo. In questa vastità un suono soltanto riecheggia perentorio (è il titolo del sessantunesimo scritto della raccolta): Dalí, Dalí!. Il nome dell’ultimo dei Noronsoff.