Alessandro Marescotti, lei con Peacelink è sempre stato in prima fila nel denunciare l’inquinamento dell’Ilva a Taranto. Si aspettava che Arcelor Mittal se ne andasse?
Me lo aspettavo fin dall’inizio perché, conti alla mano, mi sembrava troppo strano che riuscisse a riportare in attivo l’Ilva producendo sotto i 7 milioni di tonnellate l’anno, il punto di equilibrio fra costi e ricavi. Taranto riusciva a battere la concorrenza anche cinese solo grazie al suo gigantismo, al fatto che era diventata l’acciaieria più grande d’Europa. Due anni fa Arcelor Mittal si fidò di previsioni favorevoli di ripresa della domanda d’acciaio. Ma ora i dazi di Trump hanno scompaginato nuovamente i piani di tutti.

Alessandro Marescotti, presidente di Peacelink

Ora che futuro vede per l’ex Ilva a Taranto? Torna d’attualità la riconversione che voi avete proposto per primi?
Sì, siamo stati noi a far conoscere al M5s esempi di riconversione nel mondo. Da Pittsburgh, lodata da Obama, alla Ruhr che messa in bocca a Beppe Grillo è diventata una caricatura. Invece si tratta di esempi seri e reali di rinascita di territori.

L’obiezione dei sindacati è sempre stata che qualsiasi riconversione di produzione dall’acciaio non garantisce la continuità e i livelli occupazionali…
I sindacati continuano a fare i conservatori. Con questa logica non ci sarebbero state tre rivoluzioni industriali. Devono uscire dall’era del carbone, dall’idea dell’operaio brutto, sporco e cattivo che lo eleva. L’arretratezza del carbone è ormai conclamata e anche l’Agenda 2030 ne prevede la completa sostituzione. Si tratta di una produzione non più sostenibile dal punto di vista ambientale e sociale. E anche dal punto di vista occupazionale l’esempio sempre citato dell’acciaieria Arcelor Mittal di Gent non funziona: lì l’automazione fa produrre 6 milioni di tonnellate – molto più di Taranto – con soli 6 mila addetti.

Cosa pensa della proposta compromesso del presidente della Puglia Michele Emiliano: decarbonizzazione, alimentazione a gas per forni elettrici.
Non siamo mai stati contro. Il problema è più generale: per noi qualsiasi produzione deve passare preventivamente la Valutazione integrata di impatto ambientale e sanitario (Viias). Proprio pochi giorni fa la commissione promossa da Emiliano, con esperti dall’Organizzazione mondiale della sanità, ha sancito che anche l’attuale produzione a Taranto – 4,5 milioni di tonnellate l’anno – è un rischio inaccettabile per la salute dei tarantini: c’è un eccesso di mortalità di 70-80 morti l’anno ogni 10 mila abitanti in tre quartieri: oltre Tamburi, Paolo VI e Borgo. Se la “proposta Emiliano” passerà un preventivo esame Viias per noi è una soluzione percorribile.

Lei ha criticato apertamente Di Maio quando è venuto a Taranto. Il balletto sullo scudo penale è figlio del senso di colpa del M5s sulla mancata riconversione?
Il M5s a Taranto ha promesso cose che non ha mantenuto. Ancora peggio poi ha millantato dati che non hai mai ottenuto: come un venditore televisivo Di Maio ha pubblicizzato un calo delle emissioni che non si è mai verificato e tecnologie meno inquinanti mai installate. Il resto è stata una danza macabra sulla impunità penale che il M5s aveva sempre sostenuto di togliere. Sarebbe stato più coerente dire: volevamo riconvertire la fabbrica ma non si può fare, ora facciamo una battaglia seria per abbattere le emissioni. E invece con la morte di Alessandro Morricella abbiamo scoperto che neanche l’altoforno 2 è stato messo a norma.

Il governo, la politica tutta e gran parte dei commentatori dicono però: l’Italia non può rimanere senza acciaio…
È una frase che aveva un senso nel secolo scorso. Da anni siamo in una situazione di sovrapproduzione di acciaio a livello mondiale, una sovrapproduzione gigantesca. L’acciaio non è un più un bene necessario, almeno nelle quantità precedenti. Dobbiamo guardare al futuro, ad un futuro ambientalmente sostenibile. Lo dobbiamo ai tanti bambini tarantini morti di tumore in questi anni.