Ha il sapore di una «mission accomplished» nello stile George W. Bush il discorso che martedì il neopremier turco Yildirim ha pronunciato in parlamento. Con una pomposità fuori luogo il burattino del presidente Erdogan ha dichiarato conclusa l’operazione anti-Pkk nel sud est della Turchia, a 11 mesi dal suo inizio.

Mai le parole del partito di governo Akp sono state più lontane dalla realtà: la campagna militare che ha devastato le regioni kurde meridionali non è affatto conclusa. Se possibile, anzi, si è inasprita con mille riserve arruolate e dispiegate a sud-est, raid aerei e altre 25 comunità, tra Sirnak e Mus, poste sotto coprifuoco in soli due giorni. Da Diyarbakir ad Hakkari, estremo oriente turco, le bombe dell’aviazione sono piovute su aree rurali dove – dice Ankara – si nascondono i combattenti del Pkk. Quelli di cui ieri il capo di Stato maggiore celebrava le uccisioni: nei primi sei mesi del 2016, secondo l’esercito turco, sarebbero oltre 10mila i miliziani kurdi uccisi, 2.700 in Turchia e 7.700 nel nord dell’Iraq (di cui da mesi Ankara viola la sovranità nel silenzio internazionale).

Numeri che appaiono gonfiati, ma che soprattutto non tengono conto – o non specificano – le vittime civili: un bilancio chiaro ad oggi non esiste ancora, di certo va calcolato un minimo di 600 morti tra la popolazione kurda in Turchia.

«L’operazione è finita – ha detto Yildirim martedì – Ora ci sarà un rinnovamento fisico e sociale. Sostituiremo gli edifici distrutti con edifici molto più belli». Ma il cuore del discorso era un altro: il primo ministro ha annunciato punizioni severe per quei comuni e sindaci che Ankara ritiene responsabili di sostegno al Pkk: «Ora che abbiamo concluso le operazioni, ci sono altri passi da compiere. È tempo di punire i comuni che sostengono il terrorismo. Trasferite denaro destinato ai servizi pubblici ad un’organizzazione terroristica. Non ve lo permetteremo».

Ankara è quindi decisa a spezzare definitivamente l’Hdp, il partito di sinistra pro-kurdo da mesi nel mirino, prima con arresti di massa di sindaci e sostenitori e poi con la sospensione dell’immunità parlamentare che apre ai processi contro i suoi deputati. Il leader dell’Hdp, il co-segretario Demirtas, ha subito reagito alle minacce promettendo strenua resistenza: «Gli ispettori che hanno condotto inchieste sui nostri municipi le chiuderebbero se avessero una coscienza. Non hanno mai trovato una singola prova. Popolo che hai scelto i tuo rappresentanti, sollevati per difenderli».

Giornalisti alla sbarra

A proseguire non è solo la campagna anti-Pkk, ma anche quella contro la stampa indipendente: in pochi giorni due giornalisti e un accademico sono stati arrestati, Erol Onderoglu (rappresentante turco di Reporter Senza Frontiere), Ahmed Nesin e Sebnem Koruc Fincanci (presidente della Human Rights Foundation of Turkey). A monte il sostegno dato al quotidiano pro-kurdo di opposizione, Ozgur Gundem, target della repressione di Stato con l’accusa di «fare propaganda terroristica».

A difesa dei colleghi, oltre cento giornalisti hanno rilanciato una campagna partita lo scorso 3 maggio per assumere la guida del quotidiano. «Condanniamo questi arresti che non rispettano affatto la legge, la democrazia, la libertà di stampa e di espressione e il diritto della gente di essere informata – si legge nella petizione – Chiediamo il rilascio immediato di Onderoglu, Fincanci e Nesin».

Vista la lunga storia di attacchi contro il quotidiano, sono già stati 44 i giornalisti, alcuni molto noti in Turchia (tra loro il direttore di Cumhuriyet, Can Dundar, condannato a 5 anni per aver rivelato segreti di Stato insieme al caporedattore Gul), che hanno assunto ad interim, per un giorno ciascuno, la carica di direttore di Ozgur Gundem. 37 di loro sono sotto inchiesta.

«Ci dicono che saremo arrestati se prenderemo le difese degli oppressi – ha detto ieri Dundar – Abbiamo ricevuto il messaggio e siamo venuti a dimostrare solidarietà. Se ci dicono di non appoggiare questo quotidiano, noi continueremo a farlo. Se ci diranno di non guardare un certo canale tv, insisteremo a guardarlo. Questo è il modo con cui difendiamo i nostri diritti».