«Il sacrificio degli innocenti in nome di un astratto principio di legalità, mentre un indiscutibile stato di necessità dovrebbe indurre a salvarli, è inammissibile. Tutti gli Stati del mondo si sono regolati in modo positivo». Così Aldo Moro si rivolgeva all’allora ministro dell’Interno Francesco Cossiga nella lettera fattagli recapitare il 29 marzo 1978 dalla «prigione del popolo» delle Brigate Rosse che 13 giorni prima lo avevano sequestrato mentre si recava in Parlamento per il voto di fiducia al governo di «solidarietà nazionale» che, trent’anni dopo la rottura del maggio ’47, riportava democristiani e comunisti a collaborare alla guida del Paese.

DALLA DRAMMATICA PROSA morotea, indirizzata al mondo della politica, emerse un riferimento esplicito a quelle prassi e modalità di relazione che fino ad allora erano state adottate dalle istituzioni italiane tanto con le guerriglie internazionali e le organizzazioni armate palestinesi quanto con gli Stati arabi (dall’Iraq alla Libia) che offrivano coperture e sostegni a quei gruppi e non solo. Per tentare di salvarsi, Moro fece riferimento a quel «lodo» di cui lo stesso Cossiga, decenni dopo, gli attribuì impropriamente la paternità unica, sebbene figure apicali della Repubblica (da Paolo Emilio Taviani allo stesso Cossiga; da Leone ad Andreotti e Craxi) non solo ne ebbero piena conoscenza ma ne fecero costante, aggiornata e condivisa pratica della politica estera nazionale.

La genesi, gli sviluppi ed il contesto storico di questa politica di Stato sono ora ricostruiti in modo critico e scientificamente solido ne Il «lodo Moro». Terrorismo e ragion di Stato 1969-1986 (Laterza, pp. 224, euro 20) di Valentine Lomellini, docente di storia delle relazioni internazionali all’università di Padova, che riporta lo sguardo su quel tempo liberandolo da narrazioni approssimative e strumentalità di piccolo cabotaggio. Il volume ha il pregio di offrire, in controtendenza rispetto alle impellenze quotidiane della sintesi, una resa di complessità che colloca il cosiddetto «lodo Moro» nel quadro di una politica estera che interessò nel corso del tempo la Francia come l’Austria, la Germania come l’Italia.

AL FINE DI PRESERVARSI dal terrorismo internazionale, soprattutto dopo il biennio ’72-’73 ovvero dopo le stragi alle olimpiadi di Monaco in Germania e di Fiumicino in Italia, il governo di Roma (così come gli altri Stati europei pur nelle reciproche differenze) adottò con i Paesi ed i movimenti armati arabi un approccio in grado di garantire una forma di esenzione del proprio territorio da attentati contro civili, dirottamenti aerei ed omicidi mirati in cambio di una convenuta agibilità logistica per i gruppi armati su suolo nazionale.

La ricostruzione storico-documentale offerta da Lomellini liquida la narrazione di una presunta anomalia italiana sul tema, derubricando a «leggenda» l’ipotesi di un «accordo sottobanco» garantito dal solo Moro (quasi fosse un accordo tra privati) e codificando, invece, la questione come fattore organico alla geopolitica dell’epoca. In tempi di Guerra Fredda e divisione bipolare del mondo fu peculiarmente italiana, semmai, la sistemazione del nostro Paese lungo il crinale di una «doppia frontiera»: la prima divideva l’est sovietico dall’ovest atlantico, la seconda separava il nord del mondo dal sud dei Paesi del Medioriente e dell’Africa. Altrettanto peculiarmente italiano è stato l’uso strumentale e dietrologico operato da chi, pur smentito da ricerche storiche e inchieste della magistratura, ha tentato invano di associare il «lodo Moro» (ed una sua presunta violazione) ad una fantomatica «pista internazionale» relativa alla strage di Bologna compiuta dai neofascisti dei Nar.

La gestione, la rinegoziazione e l’aggiornamento dell’intesa mutò nel corso del tempo durando ben oltre la vita stessa di Moro e giungendo fino alla metà degli anni ’80. I differenti accordi stipulati dall’Italia (che coinvolsero i vertici politici e di governo della Dc e del Psi, la magistratura ed i servizi segreti militari) con l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, la Libia e l’Iraq finirono per intersecare non solo le questioni della sicurezza ma più in generale le politiche petrolifere nonché la stabilizzazione del fronte sud del Mediterraneo.

IL SAGGIO DI LOMELLINI ridisegna un sistema di relazioni internazionali articolato ed eterodosso rispetto alle prolusioni retoriche del bianco e del nero e restituisce una dualità che, ancora una volta, prospetta da un lato la «ragion di Stato» (che attraverso il lodo preservò l’Italia da azioni terroristiche e conservò rapporti nodali sul piano politico ed economico-energetico) e dall’altra – afferma l’autrice – la ragione del «diritto dei cittadini alla giustizia». Eterno Giano bifronte di questo come di altri tempi.