A rubare la scena ai forconi ieri a Roma ci hanno pensato più di cinquemila persone in piazza per la Giornata mondiale dei migranti e dei rifugiati. «Questa è la piazza senza tricolori – mette subito le cose in chiaro Paolo Di Vetta, portavoce dei Blocchi Precari Metropolitani – La piazza che chiede libertà di movimento e diritti, la piazza delle lotte reali e del conflitto sociale. Con le piazze piene di neofascisti non c’entriamo nulla, con chi vuole cavalcare gli effetti sociali della crisi con il nazionalismo, non abbiamo nulla a cui spartire». Siamo alla partenza del corteo della «Roma meticcia». Piazza dell’Esquilino, tre chilometri da una piazza del Popolo semivuota,saluti romani, invocazioni dell’identità «italiana». «E pensare che la questura voleva negarci di sfilare proprio per la contemporaneità con la mobilitazione nazionale dei forconi» ricorda Di Vetta. All’inizio del corteo risuona più volte il coro, inequivocabile: «siamo tutti antifascisti». Al posto delle bandiere italiane sventolano quelle della lotta per la casa e bandiere europee con il jolly roger pirata stampato al centro.

Il serpentone composto da migliaia di migranti, tra cui tanti richiedenti asilo e rifugiati, i movimenti per il diritto all’abitare, le associazioni antirazziste, gli sportelli e le scuole d’italiano autogestite, ha sfilato per il quartiere multiculturale di Piazza Vittorio. L’itinerario contorto è arrivato a San Lorenzo, per terminare a Piazza Indipendenza sotto uno stabile occupato da tre mesi da richiedenti asilo e rifugiati. Ewen è una donna eritrea di mezza età. Si è posizionata alla testa dello striscione dei rifugiati di Roma. Ne racconta la storia: «Eravamo sparsi per tutta la città, c’è chi viveva per strada, chi in centri d’accoglienza con regole impossibili. Così abbiamo deciso di occupare e lottare per avere almeno un tetto. Quando arriviamo ci promettono tutto, poi non ci danno niente di quello che ci spetta». «Dopo averci preso le impronte e consegnata la richiesta d’asilo siamo bloccati qua in Italia continua Ewen – Tanti di noi vorrebbero andare altrove ma rischiamo di essere rispediti qua, non ci spiegano nulla e non capiamo l’italiano all’inizio,così ci troviamo fermi qua senza diritti e senza essere liberi di muoverci». Eugenio è un ragazzo moldavo di ventiquattro anni. Da nove vive in Italia. Parla un italiano impeccabile: «Sono in piazza oggi per chiedere diritti, vivere una vita serena nel mio paese. Invece per noi è tutto difficile, per andare a scuola e poi all’università. Io adesso ho lasciato gli studi, sto facendo un corso di formazione e sono andato a vivere in un’occupazione a via Prenestina perché non sapevo più come pagare l’affitto». Tramite le occupazioni delle case e il lavoro degli sportelli e delle scuole d’italiano negli spazi autogestiti in questo ragazzo ha preso sempre più corpo quella che i movimenti chiamano la «Roma meticcia»: i diritti di cittadinanza, come il welfare o la padronanza della lingua, vengono sempre più soddisfatti dal basso. «Ora sono un’attivista – racconta con orgoglio Eugenio mentre regge tra le mani lo striscione di apertura del corteo.

La giornata romana è cominciata presto con un blitz a Fontana di Trevi, trasformata simbolicamente nel Mediterraneo delle stragi di migranti. Decine di sagome sono state lasciate galleggiare nell’acqua. Ciascuna riportava una data, il luogo e il numero delle vittime dei naufragi e degli affondamenti. «Abbiamo voluto denunciare l’ipocrisia delle lacrime di coccodrillo e delle parole delle istituzioni dopo l’ultima strage di Lampedusa – dichiara una attivista della rete Yo Migro – Questi non sono incidenti ma una conseguenza delle politiche europee e italiane». La richiesta è battente: abolire la Bossi Fini, chiudere i Cie, modificare le regole europee sull’accoglienza, rivedere i respingimenti. A blitz in pieno svolgimento venivano rese pubbliche le parole di Cecilia Malmostrom, responsabile Ue per gli affari interni. Netta la sua condanna del trattamento riservato ai migranti a Lampedusa. Le immagini shoccanti del Tg2, che filmavano la «disinfestazione» nel centro d’accoglienza dell’isola potrebbero costare all’Italia il blocco degli aiuti e sanzioni.

Nella giornata mondiale per i rifugiati e i migranti ci sono state altre manifestazioni in Sicilia, alle porte del gigantesco centro di accoglienza di Mineo. A Padova una nuova occupazione dedicata a Don Andrea Gallo ha dato ospitalità ad una cinquantina di richiedenti rifugiati. A Bologna è sfilato un corteo contro la riapertura del Cie cittadino. Nel capoluogo emiliano ci sono state cariche a freddo della polizia contro i manifestanti mentre tracciavano una gigantesca scritta sul muro di cinta della struttura in via Mattei: «La riapertura di questo luogo – spiegano – è un oltraggio alla nostra città. Qui nessuno lo vuole, neanche le istituzioni, e se Alfano non farà marcia indietro continueremo la mobilitazione per impedirlo».