È abortito sul nascere il tentativo di oltre duecento migranti assiepati al confine serbo-ungherese di raggiungere l’Europa.

Intrappolati da mesi lungo la rotta balcanica, i rifugiati avevano organizzato una protesta al valico di frontiera di Kelebija, Serbia settentrionale. Una manifestazione nata su un gruppo Facebook che ha portato al confine centinaia di migranti da tutte le parti del Paese. Erano arrivati a Kelebija giovedì per chiedere di varcare la frontiera e proseguire il loro viaggio in Europa. Siriani, afghani, marocchini, palestinesi. Tra loro anche tanti bambini.

«SIAMO RIFUGIATI, non criminali», «fuggiamo dalla guerra, non dalla fame», «i nostri bambini meritano di meglio»: questo si leggeva sui cartelli branditi dai migranti che avevano preso parte al sit in di protesta.

Sfidando le autorità serbe ed ungheresi e il gelido inverno balcanico, i profughi avevano piazzato delle tende al confine, decisi a resistere fino all’apertura delle frontiere. Ma i loro appelli sono rimasti inascoltati. Le autorità ungheresi hanno prima ordinato la chiusura del valico e rafforzato poi i controlli aumentando la presenza di polizia e guardie di frontiera lungo la barriera metallica e di filo spinato fatta costruire nel 2015 dal premier Viktor Orban per arginare i flussi migratori in entrata dalla Serbia.

ALL’ALBA DI IERI L’EPILOGO. Le autorità serbe hanno provveduto al trasferimento dei migranti ammassati al confine in alcuni centri di accoglienza in Serbia, nella vicina Subotica e poi a Sombor, Bosilegrad, Presevo. Il valico di frontiera è stato riaperto dopo lo sgombero dei migranti. Il tutto si è svolto senza incidenti, come sottolineato dal Commissario serbo per le migrazioni e i profughi Vladimir Cucic. La Serbia, ha dichiarato Cucic, intende difendere i diritti dei migranti ma al tempo stesso garantire la stabilità interna nel Paese.

Sul luogo si era recato anche il ministro della difesa serbo Aleksandar Vulin temendo che la situazione potesse andare fuori controllo. Il ministro ha dichiarato che Belgrado «non vuole problemi con i suoi vicini» ed è poi passato ad accusare diverse ong di aver manipolato i migranti e di averli incitati ad attraversare la frontiera. Una dichiarazione quella di Vulin contro le ong che giunge a pochi giorni dalla decisione di espellere dalla Serbia tre volontari dell’associazione umanitaria No Name Kitchen.

I tre volontari erano stati aggrediti da alcuni membri dell’organizzazione nazionalista serba Sokoli in una fabbrica abbandonata a Sid, città al confine con la Croazia, dove alcuni migranti avevano trovato riparo.

Momenti di tensione al confine serbo-ungherese si erano registrati alla fine del mese scorso quando una sessantina di migranti aveva cercato di forzare le recinzioni a un altro valico di frontiera, quello di Horgos-Reszke.

In quell’occasione un poliziotto di frontiera ungherese aveva sparato tre colpi di avvertimento in aria mentre il gruppo tentava di entrare nel Paese. Episodi questi sempre più frequenti negli ultimi mesi, come sottolinea il rapporto della Ong serba Asylum Protection Centre secondo cui circa mille migranti al giorno cercano di oltrepassare il confine serbo per raggiungere l’Europa.

Nel solo mese di gennaio l’Ungheria avrebbe registrato un picco di 3.400 tentativi di attraversare la frontiera illegalmente.  Eppure il confine ungherese resta pressoché sigillato. Secondo il World Report 2020 di Human Rights Watch «le autorità ungheresi hanno continuato a limitare il numero dei richiedenti asilo a una o due famiglie di rifugiati a settimana».

NELLE DUE ZONE DI TRANSITO, serba ed ungherese, si legge nel report che cita stime dell’Unhcr, sarebbero detenute più di 300 persone, di cui 170 minori. I respingimenti collettivi e indiscriminati da parte delle autorità ungheresi (e croate) rendono di fatto impossibile a migliaia di rifugiati il proseguimento del loro viaggio verso l’Europa. Nonostante l’accordo tra Unione europea e Turchia siglato per contrastare la crisi dei migranti del 2015-2016, la rotta balcanica non è stata mai realmente chiusa. Negli ultimi mesi, anche per via dell’offensiva della Turchia contri i curdi nel Nord della Siria, i flussi hanno conosciuto una ripresa, sebbene ancora lontana nei numeri dalla crisi di cinque anni fa.
Secondo gli ultimi dati a disposizione dell’Unhcr nella sola Serbia il numero dei migranti sarebbe quasi raddoppiato: dai 3.400 presenti nell’agosto dello scorso anno ai 6.750 registrati nel gennaio 2020.