«Oggi ci svegliamo in un altro paese», scrive il quotidiano d’opposizione Népszava. Il commento a firma di Róbert Friss fa riferimento alla campagna elettorale governativa che, fa notare, «ha mostrato cos’è realmente l’alleanza Fidesz-Kdnp», tra il partito del premier Orbán e il Partito popolare cristiano democratico. Un’alleanza che, a partire dal 2010, sostiene, «ha ricostruito il sistema politico-economico del paese: un sistema gestito da un’élite di potere che grava sulla società ungherese».

Il voto si è svolto al termine di una campagna elettorale tra le più violente e aggressive della storia recente del paese. Il sistema propagandistico del partito governativo Fidesz è arrivato a definire i candidati dell’opposizione nient’altro che dei «pagliacci inadatti all’incarico» per il quale concorrevano, ma ciò non è servito; Budapest e diversi altri capoluoghi espugnati dall’opposizione festeggiano. I sostenitori di quest’ultima affermano che la vittoria di ieri dimostra una verità incontrovertibile: «uniti si può vincere anche contro Orbán».

Festeggiano gli intellettuali che, insieme a docenti, a studenti universitari e ad altri cittadini contrari all’attuale sistema di potere, hanno più volte manifestato in questi ultimi tempi contro una politica che «sta portando il paese verso una deriva pericolosa, sempre più antidemocratica, sempre più lontana dall’Europa e vicina a leader politici come Putin ed Erdogan». È nota, tra l’altro, la mobilitazione di questi oppositori del regime contro manovre attuate per privare il mondo accademico della sua autonomia, ridurre la produzione del sapere, quello autentico, e scoraggiare lo spirito critico. Hanno fatto notizia le manifestazioni che avvengono da anni a Budapest e nelle principali città del paese contro una politica che mette le mani dappertutto e intende controllare la stampa, la scuola, l’università, la magistratura, l’economia. Da tempo Orbán è impegnato nel compito di silenziare le voci dissenzienti e di invitare l’opinione pubblica all’indifferenza quando non alla diffidenza nei confronti degli ambienti intellettuali progressisti così lontani dalla gente e dalle sue aspirazioni e bisogni, secondo la propaganda governativa.

Il successo dell’opposizione che per la prima volta è riuscita a mettersi d’accordo per presentare un candidato unico a Budapest e in circa metà dei centri in cui si votava, è espressione di quella parte di Ungheria che, certo non esigua, vuole un cambiamento. Vuole vivere in un paese diverso, libero dalla tensione perenne esercitata dal governo che agita lo spauracchio dell’invasione di migranti musulmani sostenuti da Bruxelles e da George Soros. C’è una parte di paese stanca di questo stato di cose e alla ricerca di una rappresentanza politica che operi concretamente per il cambiamento. La vittoria alle amministrative è un dato interessante e significativo, ma non autorizza ancora a pensare che la fine del sistema Orbán sia vicina. È senz’altro una strada da seguire; occorre però vedere se la formula risultata vincente domenica scorsa sia applicabile su scala nazionale alle prossime politiche, e non bisogna dimenticare la capacità di ripresa e di manipolazione dell’attuale premier.