Tra i ghiacci del grande Nord, quando per gli Inuit le cose non avevano ancora una forma distinta, Luna (Taqquiq) e Sole (Siqiniq), fratello e sorella, si unirono in matrimonio e ben presto lei rimase incinta. Chiusa nell’iglù destinato alle partorienti, ogni notte subiva la visita di uno sconosciuto nel suo letto. Decisa a smascherare quell’essere impudente, Sole si sporcò le mani di fuliggine e quando costui riandò a trovarla, gli sporcò il viso. Andato via, Sole lo seguì fino all’iglù delle feste, dove si riunivano gli Inuit, e scoprì che quell’insolente era proprio suo fratello Luna. Così senza pensarci troppo entrò e davanti a tutti si tagliò i seni, gettandoglieli ai piedi e dicendo: «desideri tanto il mio corpo, e allora mangiatelo!». Dopodiché prese una lampada a olio e fuggì via nella notte artica. Luna la inseguì, ma nella fretta fece spegnere la sua lampada. Si inseguirono a lungo, fino a che non giunsero al cielo, dove rimasero per l’eternità come Siqiniq e Taqquiq, il sole e la luna.
Questa storia, raccolta dall’antropologo Franz Boas nel 1888, mostra l’origine dei due astri agli «inizi del tempo» inuit, in quella notte eterna dove uomini, animali e persino gli astri avevano uno statuto oscillante e si scambiavano ruoli, genere e specie: un uomo poteva diventare un orso, oppure una donna, e viceversa. Analogamente l’offerta sessuale diventava alimentare quando Siqiniq offriva le sue carni al fratello, in un’antica confusione tra antropofagia e incesto.

In coppia forzata
La luna è il più mutevole dei fenomeni celesti, il suo genere sessuale è incerto: un maschio potente come il Toro del Cielo (ancora oggi in tedesco Mond, luna, è di genere maschile) che accudisce e protegge le sue mucche, le stelle, una femmina cacciatrice con l’arco o un crescente di luna in mano, o un bisessuale come tra le isole Andamane, dove la luna crescente è maschile e quella calante femminile. La ragione di questa differenza di generi la spiegava Platone nel Convivio, descrivendo il genere maschile, figlio del sole, quello femminile, figlio della terra e un terzo sesso figlio della luna, partecipe di entrambi, che anche nel nome ricorda le due divinità Hermes e Afrodite.

Leopoldo Galluzzo
Leopoldo Galluzzo “Moon”

Nella mitologa europea abitualmente il sole è maschio e la luna femmina e, ovviamente, non si uniscono mai. Il perché lo spiega una simpatica leggenda normanna: un giorno, mentre il sole percorreva l’universo incontrò Dio, che lo salutò calorosamente e gli chiese come andasse. Il sole rispose che le cose non andavano benissimo e che negli ultimi tempi aveva delle eruzioni piuttosto imbarazzanti. Dio gli fece: «sposati, che aspetti?». «Con chi?», richiese il sole perplesso e Dio, sicuro di sé, «ma con la luna!». Il sole replicò contrariato: «Sposarmi con la luna? Una scostumata che dorme tutta la notte, cambia fase tutte le settimane e che è piena ogni mese… O Signore, non pensateci proprio!».

Nel loro bisogno di dare ordine alle cose del mondo, gli umani hanno elaborato un sistema di parentela astrale che ha visto nella luna di volta in volta una madre, una figlia, una moglie, un marito, dei gemelli, dove l’altro elemento della coppia era immancabilmente il sole. Ma mentre questo è sempre uguale a se stesso, la luna cambia continuamente forma, posizione, colore, luce: rappresenta il ritmo stesso delle cose secondo natura, fedele a quei ritmi cosmici che si contrappongono all’umano e all’urbano. La luna ci ha insegnato a scandire i periodi: dopo il giorno e la notte è stata la prima misura naturale del tempo. Non è un caso se month, monat, mese, derivino tutti dallo stesso etimo, che rimanda sempre alla luna, come lunari furono i primi calendari greci, mesopotami, indiani, ebrei.
La sua ciclicità l’ha resa amica del ciclo riproduttivo femminile e quindi patrona di quelle divinità che sovrintendono alla nascita come Hera, Artemide o Lucinia, protettrici del matrimonio o del parto.

Concepimenti facili
Nel medioevo le streghe, prima di diventare quelle banali schiave del demonio che conosciamo, erano donne che volavano periodicamente di notte al seguito di misteriosi esseri dai nomi lunari come Diana, Berta, Perchta, il cui nome conserva tutto il fascino dell’antico tedesco perhata naht, «luminosa notte». Gli stessi ritmi biologici dell’uomo dipendevano dalle fasi di questo astro: si credeva che il suo desiderio sessuale fosse più forte durante la luna piena, mentre il midollo spinale, sede dell’energia vitale, era più debole durante la luna calante. In questa stessa fase diminuiva la produzione di sperma: si pensava così che i bambini fossero concepiti più facilmente durante i tre giorni della luna nuova.
La sua ciclica «assenza» del novilunio ha preparato gli uomini a gestire la morte, a viverla come una scomparsa temporanea cui sarebbe seguita una nuova esistenza: ha insegnato loro a sperare e a credere in una rinascita.

La luna stessa è diventata un luogo dove riposano le anime: i Campi Elisi dei pitagorici o il paese dei morti chiamato pitriyana dagli Indiani. L’astro notturno è una tappa importante di un cammino dei morti che conduce al sole e poi alla luce infinita di Ahura Mazda nella religione zoroastriana. Per Plutarco dopo la morte le anime vagano nello spazio sublunare per purificarsi dai miasmi prodotti dal corpo e infine approdare sull’astro lucente. Non tutte riescono a giungervi: alcune ne vengono cacciate, tra gemiti e lamenti, mentre altre, quelle dei puri, fanno un giro d’onore incoronate di piume, come atleti vittoriosi: l’anima a poco a poco perderà coscienza della propria identità e si dissolverà nella luna, da dove ne nascerà una nuova pronta per la reincarnazione.
Non solo le anime sono custodite sul suolo lunare, ma anche le cose perdute alla terra, come il senno di Orlando recuperato da Astolfo.

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Mostri che ingurgitano
Un astro che sparisce per poi riapparire, diviene naturalmente metafora e tutore delle cerimonie di iniziazione degli uomini e al tempo stesso insegna loro che la morte è la condizione principale di ogni cambiamento di stato, di ogni rigenerazione. I ragazzi o le ragazze che partecipano a una cerimonia iniziatica sanno che dovranno simbolicamente «sparire» (nella foresta, nella capanna delle iniziazioni, nella pancia di un orso o di una balena, come Giona e Pinocchio) per un breve periodo, per poi ritornare nella civiltà con forma e sostanza mutate. Per le ragazze spesso l’iniziazione coincide con il menarca, la prima mestruazione. Questo delicato momento della vita verrà perciò indicato con la perifrasi Quando le donne hanno la luna, come titola il libro dell’antropologa Gianfranca Ranisio.
L’iniziazione spesso prevede che il neofita venga simbolicamente inghiottito da un mostro. Diversamente può accadere che quest’ultimo ingoi la luna e quindi, secondo molte culture popolari, avvenga un’eclissi. È interessante allora osservare come sia esattamente speculare la reazione rituale degli esseri umani verso due fenomeni lontani anni luce (nel senso proprio del termine), eppure miticamente e intimamente legati: eclissi e matrimonio.

In molte culture, quando un’unione matrimoniale non è accettata o considerata «anomala», si reagisce con un cerimoniale popolare che consiste essenzialmente nel far baccano con strumenti improvvisati, soprattutto con pentole e padelle (ultimamente abbiamo assistito a una coerente rifunzionalizzazione del rituale in chiave politica per protestare contro il decreto «la buona scuola» del governo Renzi). Questa cerimonia popolare viene denominata scampanata, charivari, rough music, Katzenmusik, cencerrada, cacerolazo (famoso quello del 13 marzo 2004 a Madrid, contro il governo di José Maria Aznar) e in vari altri modi.

Licantropi e vampiri
In modo parallelo, quando avviene un’eclissi di luna, in varie parti della terra si produce un baccano infernale per scongiurare la scomparsa dell’astro, ritenuto in pericolo di essere divorato da un mostro cosmologico. Esistono varie teorie che spiegano antropologicamente entrambi i cerimoniali. Tentando una spiegazione comune, potremmo dire che in entrambi i casi il rumore segnala, rende manifesta, un’anomalia: una rottura dell’ordine cosmico causato dall’eclissi o un infrangersi dell’ordine sociologico umano a causa di un’unione «non ortodossa», non condivisa dalla «pubblica morale».

Licantropo
Ovviamente, un astro che presiede ai mutamenti sarà ritenuto responsabile di infinite forme di trasformazione, comprese quelle zoomorfe in vampiro o in licantropo. Il primo innestato sulla rappresentazione popolare della morte – si diviene vampiro post mortem –, il secondo su quella della nascita – diviene licantropo il neonato o il feto esposto alla luna piena – entrambe le figure nascondo l’idea che l’ambivalenza insita nella condizione umana, il male che è dentro di noi e che si manifesta incessantemente in forme «mostruose», possa in qualche modo trovare origine e spiegazione in quel lontano astro notturno che influenza ogni momento del nostro vivere.
Un po’ come l’Otello di Shakespeare: «È tutta colpa della luna, quando si avvicina troppo alla Terra fa impazzire tutti».

 

SCHEDA

Con il termine epilessia, nelle società preindustriali, si intendeva un corteo di sintomi che andavano dal colpo apoplettico alle manifestazioni più diverse di nevrosi e psicosi, passando ovviamente per l’immancabile possessione diabolica.
Isidoro di Siviglia (VII secolo) parlando dell’epilessia ci informa che coloro che ne sono affetti «sono comunemente definiti lunatici perché l’insidia dei demoni li accompagna seguendo il corso della luna». «Lunaticus» da luna, perché anche i suoi attacchi possono avere ricorrenze cicliche e, talvolta, anche cadenze notturne. La perdita di coscienza, inoltre, equivale simbolicamente alla morte, alla transitoria sparizione dal contesto sociale e familiare, come le fasi della luna nuova. Il successivo confuso riemergere del paziente alla coscienza, cioè alla vita, come se avesse perso la nozione del tempo, dello spazio e di quanto è avvenuto, avvicinano la patologia a un rituale laico che sembra ripercorrere le varie fasi di un’esperienza lunare, notturna ed estatica. In un pensiero in cui la diagnosi e la terapia prevedeva anche credenze magico-religiose, la cura per eccellenza dell’epilessia restava san Donato (7 agosto), probabilmente perché martirizzato per decapitazione: in questo suo aver «perso la testa», come per san Valentino e san Giovanni, ravvisiamo il suo patronato.
Differentemente però dal vescovo di Passau, divenuto protettore di coloro che «perdono la testa» per amore, e dal Battista, che ha perduto nei secoli il suo patronato, san Donato d’Arezzo ha mantenuto se non fino ad oggi, perlomeno fino a tempi recenti, la sua originaria specializzazione.