Celebre in tutto il mondo per i dipinti di Giotto, la cappella degli Scrovegni, a Padova, sorge all’interno dell’antica arena romana, che fa da cinta ai giardini pubblici; fu costruita a poca distanza dal fiume Piòvego, nel quale si scaricano le acque del Bacchiglione. In questo fiume si versano a loro volta le acque del Brenta, un grosso torrente più che un fiume vero e proprio, e trasportano grandi quantità di fango, soprattutto durante le frequenti piene. La repubblica Serenissima era molto attenta ai problemi idraulici del territorio e la loro gestione, e per questo aveva costituito il magistero delle Acque. Secondo locali mitologie, non un pozzo poteva essere scavato senza il permesso di quell’autorità.

Negli ultimi anni, le acque del Piòvego si sono alzate di poco meno di due metri rispetto all’inizio del XX secolo – e naturalmente molto di più rispetto al 1509, come testimoniano le cannoniere costruite quell’anno sul bastione Arena delle mura cittadine, a difesa della città dalle truppe assedianti, i collegati, nella guerra della lega anti-veneziana di Cambrai. Attualmente, le cannoniere sono sott’acqua, come può testimoniare l’autore della presente nota, che ha visitato le mura, ma soprattutto chi di questi problemi ha fatto una vera e propria battaglia, il professor Elio Franzin, animatore della società di voga alla veneta amissi del Piòvego. Basta andare in barca sul fiume e l’innalzamento delle acqua è patente a chi vi affonda il remo.

Tra le recenti cause dell’innalzamento delle acque c’è lo sbarramento costruito a valle, a Noventa Padovana, nel 1920, per favorire la navigazione fluviale sul Brenta. Tra le cause prossime, la costruzione a valle, negli anni Sessanta, in località San Gregorio, nei pressi di Camìn, di un inceneritore, che ha necessità di disporre di grandi quantità d’acqua per il raffreddamento delle proprie tre linee di smaltimento dei rifiuti.

L’accavallarsi sul territorio di interventi non pianificati, a dire: la confusione idraulica, pone seri problemi alla sopravvivenza della cappella degli Scrovegni, così come la conosciamo, le fondamenta e di conseguenza il piano superiore, minacciati da infiltrazioni acquee e la susseguente grande umidità.

La gravità del problema si realizza visitando la cripta sottostante la grande cappella, per il cui accesso non soltanto è necessario, e giustamente, il permesso del direttore del museo civico, Davide Banzato. Occorre anche firmare una liberatoria che scagioni il museo e immagino il comune dagli incidenti e relativi danni fisici che possono sopravvenire al visitatore durante la discesa nella cripta per i probabili strati di fango e l’umido accumulati sul pavimento.

Il terreno dove è costruita la cappella è a forma di catino, ripetendo probabilmente la forma originaria dell’arena romana, sicché le acque i giorni di pioggia, inevitabilmente affluiscono verso il manufatto.
L’accesso alla cappella è dal museo, lungo un prato decorato con attento gusto paesaggistico con statue antiche e moderne, quello alla cripta è dal lato sud. Si scende lungo una trincea fonda poco più di un metro rispetto la superficie del terreno, e conduce a un cancello e dal cancello, per alcuni gradini, si penetra nella cripta . Malgrado sia un luogo sotterraneo, è inondato di luce – una luce gialla, che proviene soprattutto dal lato sinistro, attraverso le griglie per l’acqua piovana. Secondo il guardiano, la cripta era usata dai religiosi come refettorio ma probabilmente anche come luogo di raccoglimento e preghiera. Si tratta di un camerone lungo quanto la cappella sovrastante tolta l’abside, l’accesso, se ricordo bene, separato dal refettorio vero e proprio da un’arcata. Sul soffitto si vedono ancora i resti degli affreschi originari, dei quali come passa il tempo sempre meno sussiste – qualche stella parzialmente scrostata, il giallo impallidito dall’umido, di ciò che doveva essere un grande cielo stellato, il fondo dipinto com’era consuetudine in profondo blu. Sulla parete est, la grande ombra che si staglia sul colore giallognolo di ciò che sembra una mano di pittura recente, potrebbe essere una gigantesca macchia d’umido ma anche il segno rimasto di un grande affresco.

L’umido è palpabile, nella cripta, penetra le ossa, si percepisce anche in questa giornata di vento e di sole. Dell’umido, sul pavimento, c’è un sottile strato, anche una pellicola di fango, scivolosi sotto le scarpe; soprattutto, in centro, c’è una breccia aperta, la forma è quella che assume la corteccia di un albero quando si strappa con violenza un ramo, i bordi un po’ seghettati, pare una ferita. Ne sgorgano in continuo sottile rigagnolo le acque del fiume. In fondo al locale, protette da un tramezzo che cela una grande vasca, due pompe dovrebbero assorbire ed espellere l’acqua ma non sembrano capaci di eliminare la grande umidità – o forse questa non è la loro funzione. Ed è l’umidità, si insiste, uno dei grandi problemi in quanto, salendo dalla cripta lungo i muri, se non sarà trovata rapidamente qualche soluzione essa finirà per intaccare il piano superiore, distruggendo, alla lunga, la grande opera di Giotto che ha trasformato in un unico affresco l’intera superficie della cappella. L’umido, infatti non proviene soltanto dal pavimento ma dai muri, lungo le cui pareti esterne scola l’acqua dalle griglie per la pioggia, sistemate in superficie.

Da un punto di vista amministrativo, la responsabilità per la cura della cappella degli Scrovegni sembra appartenere a tre organismi locali: la Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Veneto; la Sovrintendenza per i beni storici, artistici e socioculturali delle province di Venezia, Belluno, Treviso, Padova; la Sovrintendenza per i beni architettonici per le province di Venezia Belluno Padova Treviso.