Un cambiamento di prospettiva. Un regalo. Una visione che dall’occhio si diffonde con un sottile calore nel corpo e che vi resta per ore, per giorni, feconda dispensatrice di una luce archetipa, universale che si ha il desiderio di condividere con le persone che amiamo e con chi non conosciamo. Una subconscia, onirica fantasia che nelle immagini dà tattile consistenza al viaggio ciclico dell’umanità tra nascite, morti e rinascite, nel riapparire e scomparire di volti, corpi, colori in abbacinante metamorfosi sulle musiche di Vivaldi.

Transverse Orientation di Dimitris Papaioannou, come già sottolineato su queste pagine da Gianfranco Capitta al debutto italiano al Campania Teatro Festival, conferma l’autore greco come artista maggiore del nostro tempo: oggi e domani Transverse Orientation è ancora in Italia, al Festival Aperto di Reggio Emilia al teatro Valli, a pochi giorni dal successo ribadito dopo Napoli alle Fonderie Limone di Moncalieri per Torinodanza Festival. Titolo da non perdere, di ritorno a Firenze l’anno prossimo: un nutrimento per l’immaginario collettivo.

PROTAGONISTI formidabili sono gli artisti che Papaioannou ha scelto per il suo viaggio, sei uomini e due donne. Damiano Ottavio Bigi e Breanna O’Mara escono dal Wuppertal Tanztheater di Pina Bausch, Šuka Horn era l’anno scorso in INK insieme allo stesso Papaioannou, Michalis Theophanous, potentissimo nel suo rapporto con il Toro, è uno storico di Dimitris da Primal Matter come l’inconfondibile Christos Strinopoulos, già protagonista di The Great Tamer, e poi Jan Möllmer, Łukasz Przytarski, e Tina Papanikolaou, stupenda nell’imponente nudità finale.

La sublime Breanna O’Mara è il femminile, la donna primigenia, Venere botticelliana, divinità procreatrice, madre di tutte le madri e di tutti i padri, dispensatrice di gioia, imperturbabile creatura. Tutti resistono alle più incredibili durezze, ora chiusi in un letto di ferro portatile, ora nudi a cavalcare di corsa enormi cubi di polistirolo, sempre pronti a ripartire dopo ogni fine, nel percorso di distruzione e ricostruzione, amore e lotta con la natura. Umanità eroica che cavalca il vivere. Si esce dallo spettacolo disorientati da una densità pittorica in cui tutto si muove, tutto si trasforma, presente e sfuggente. Con Pina Bausch si ha avuta nel Novecento la certezza che il teatro non sarebbe più stato lo stesso, negli anni Duemila è con Papaioannou e i suoi artisti che si ha la percezione di un nuovo passo.