Sabato corso si è svolto alla Biblioteca Nazionale di Roma il «Forum europeo sulla migrazione» organizzato da Antonio Di Ciaccia psicoanalista della Scuola Lacaniana. Al forum hanno partecipato politici, esponenti della cultura, giornalisti, religiosi, psicoanalisti e gran parte delle Ong attive nel soccorso dei migranti.

È emersa una chiara divergenza di prospettive tra chi del problema della migrazione si occupa concretamente, in un’ottica che mette al primo posto i diritti e il dolore umano, e chi lo tratta come disordine da contenere e amministrare.

Vissuta come movimento violento che scuote le nostre vite, la migrazione è, in primo luogo, un fenomeno fisiologico, una condizione fondamentale della sanità psichica individuale e collettiva. Affrontarla come malattia da contenere, combattendone i sintomi, invece di chiederci cosa la rende dolorosa, è l’ennesima prova della follia che dirige il nostro destino e alla cui presenza non vogliamo credere.

Migriamo nello spazio dei nostri sogni, dei legami erotici e delle relazioni affettivamente significative – quando alloggiamo nei pensieri e nei sentimenti degli altri e li facciamo alloggiare nei nostri. Migriamo nel passato e nel futuro, ma anche nel presente inattuale, dove il nostro agire si sottrae al tempo lineare e diventa potenzialità. Ci innamoriamo di panorami lontani appena intravisti, ci incamminiamo in strade sconosciute, ma immaginate con cura, abitiamo in case diverse da quelle che abbiamo ereditato.

Scopriamo in altre terre e patrie la nostra verità più profonda, esportiamo lontano, dandogli valore, ciò che più ci lega a luoghi in cui siamo nati. Importiamo desideri e pensieri cresciuti altrove, ci facciamo fecondare da prospettive inconsuete, insolite.

L’umanità è in viaggio da sempre, senza i flussi migratori sprofonderebbe in sabbie mobili.

Quando non si dedica allo sfruttamento dei migranti, l’autocelebrata civiltà occidentale non riesce a fare di meglio che inquadrarli come carnefici o vittime. Oggetti persecutori da cui difendersi o persone danneggiate da assistere. Rigetto e compassione (senza desiderio) si alleano nell’impedire la costruzione di un progetto di reali relazioni di scambio, che sono affidate al caso.

Una delle tavole rotonde del Forum era intitolata: «Lo straniero: porte aperte, porte chiuse». Le porte aperte consentono il lutto. Le porte chiuse lo negano. La migrazione fa viaggiare il senso di mancanza, misura il lavoro di trasformazione che devono compiere i soggetti desideranti per ritrovarsi rinnovati al di là delle secche della deprivazione causata dalle incomprensioni, dai conflitti, dalle catastrofi.

Il responsabile del presidio medico di Lampedusa, Pietro Bartolo, dando la sua testimonianza, ha detto che le donne migranti, vittime per eccellenza delle violenze che subiscono gli espatriati, sono, tuttavia, più resistenti psicologicamente degli uomini. Cosa sarebbe infatti il viaggio di Ulisse, al di qua e al di là del naufragio, senza la persistenza, la profondità del desiderio di Penelope? Quel desiderio esprime il massimo della sua potenza proprio nel momento del naufragio. I migranti di casa nostra, e noi con loro, siamo nel bel mezzo di un naufragio. Solo il desiderio delle donne, che resiste, può tirarci fuori.

Questo desiderio risolve il problema delle porte (chiuse o aperte), questione erotica per eccellenza, con la «soglia». Si intitola proprio così una delle più belle poesie di Rilke: «Soglia: oh, pensa che è, per due che si amano/ logorare un po’ la propria soglia di casa già alquanto consunta/ anche loro, dopo dei tanti di prima,/ e prima di quelli di dopo… leggermente».