Mentre il comitato di redazione de L’Unità, in lotta per la sopravvivenza del quotidiano, non ha nulla da aggiungere ai «rumors poco credibili, tra pitonesse, gufi e sciacalli», come scrivevano ieri in prima pagina, il direttore Luca Landò pubblicherà oggi un fondo per spiegare «l’operazione tutta politica» e «da respingere con forza al mittente» di Daniela Santanché che ha presentato un’offerta di acquisto del quotidiano fondato da Antonio Gramsci in tandem con la giornalista di Rai Sport, Paola Ferrari, nuora di Carlo De Benedetti (che però, appena appresa la notizia, si è dichiarato «totalmente estraneo all’iniziativa»).

Direttore, sono rimaste solo due settimane di tempo per salvare davvero L’Unità. Mentre per Europa, se non intervengono fatti nuovi, la dead line è il 30 settembre. Ieri il direttore Stefano Menichini ha ricordato ai «dirigenti democratici» l’impegno assunto a «lavorare come facilitatori di una transizione societaria che porti nuove risorse». Un lavoro, dice, «che non è ancora iniziato» perché la vostra emergenza «si è presa la priorità». Come fa il Pd a salvare capra e cavoli? Con l’unificazione?

L’unificazione, come idea di buon senso, è sempre stata evocata ma mai avviata. Dai tempi di Soru si parlava di una sorta di polo unico editoriale che mantenendo le tre testate separate – L’Unità, Europa e Youdem – tentava un’operazione di economia di scala. Ora è vero, in linea di massima, che il Pd dovrebbe avere un unico quotidiano, ma dal marzo 2001, quando dopo otto mesi di chiusura tornò in edicola, L’Unità non è più un giornale di partito ed è diventata di proprietà privata pur facendo riferimento al mondo dei Ds tanto da percepire il finanziamento pubblico del gruppo Ds. La storia di Europa invece è diversa, perché era l’organo della Margherita. Quindi se si vuole unificare va bene, ma va tenuto presente che sono due giornali molto diversi.

Ma unificare per salvare cosa? Non posti di lavoro.

Infatti non mi è chiaro come, in una condizione di crisi, si risolvono i problemi legati ai costi alti di gestione aumentando il personale. Oppure si vogliono salvare solo i marchi? O farne un marchio solo? Il famoso brand, come ha detto Renzi? Va invece ricordato che L’Unità chiuse proprio quando era un brand e tornò in edicola perché il brand venne riempito di contenuti. Un brand può anche essere preso per svuotarlo, fargli perdere identità e farlo morire, vedi l’operazione Santanché.

Ossia? Cosa sta facendo la deputata di Forza Italia?

Secondo me due cose. Un’operazione squisitamente commerciale: Santanché vuole fare pubblicità alla sua concessionaria di pubblicità, Visibilia, e dimostrare, ora che ha comprato anche la rivista «Ciak», che non intende rimanere nel ghetto dell’ultradestra, che nel suo portfolio non ha solo Libero ma che si può muovere a 360 gradi. Anche quattro anni fa, quando si parlava di un possibile ingresso degli Angelucci nella società editrice dell’Unità, c’era in ballo la concessionaria Visibilia. Anche allora, i giornalisti dissero no e non se ne fece nulla. L’altro motivo, più pericoloso, è invece tutto politico: vuole far passare il messaggio, nel silenzio generale della politica, che destra e sinistra sono categorie del passato. A prescindere che vada in porto l’operazione di ingresso nella società editrice, intanto ha già lanciato il messaggio di un’ultradestra talmente innovatrice da non fare più queste distinzioni. Come dire, che nel mondo nuovo – è arrivata nell’iperuranio, lei – non ha più senso avere un giornale di sinistra e che la storia dell’Unità può essere chiusa qui. Ecco: mentre l’operazione commerciale di utilizzare la crisi altrui per farsi pubblicità gratuita è poco etica, questa mossa politica va invece respinta con forza al mittente. Perché la crisi che stiamo vivendo nasce proprio da una visione dell’economia di destra, con ricette di destra che hanno provocato danni alle classi più deboli. E invece c’è bisogno di una politica di redistribuzione di reddito, una politica di sinistra.

Un messaggio politico necessario anche ad aprire nuovi scenari nel panorama di larghe intese….

No, un conto è quel che resta delle larghe intese o il tentativo di Berlusconi di sopravvivere ad una crisi politica devastante, altro è l’operazione che fa Santanché. Berlusconi sta cercando di stare al tavolo per contare di più, lei vuole prendere una bandiera per svuotarla di senso e dire che non ci sono più bandiere. Se l’anima nera prende la striscia rossa dell’Unità vuol dire che le distinzioni non esistono più.

Il governo ha rimpinzato con 52 milioni il Fondo Lotti per prepensionare i giornalisti delle testate in crisi, con un emendamento al decreto sulla Pa che mette dei paletti ma non evita ai grandi giornali di usufruirne, spesso senza una vera necessità.


I prepensionamenti, che finora avvantaggiavano soltanto i pesci grossi dell’editoria, dovrebbero essere mirati non tanto ad alleviare i costi della crisi, che per le testate più grosse vuol dire avere bilanci in rosso ma non il rischio di chiusura, ma all’innovazione e all’inserimento di nuove tecnologie. È un concetto che si è tentato di inserire ma che non è mai decollato. Ora io credo che gestire la crisi dell’editoria, per un governo di centrosinistra, significa fare in modo di garantire quella pluralità dell’informazione che c’era prima e che rischia di scomparire proprio in tempi di crisi. Se proprio si vogliono tagliare i fondi per l’editoria lo si faccia, a patto che si riveda la legge Gasparri e si imponga, come in Germania, un tetto molto rigido per la raccolta pubblicitaria televisiva che permette al mercato pubblicitario di essere davvero aperto a tutti.