Si alza il vento, col titolo che si ispira a una poesia di Paul Valèry – «Si alza il vento, dobbiamo vivere!» come si ripete spesso il protagonista – è permeato da un sentimento di dolorosa malinconia, vi soffia con dolcezza il sentimento della morte che fa parte della vita, dei sogni, degli amori, delle cose piccole e importanti che si intrecciano a quelle grandissime a volte fuori di noi. ù

Si alza il vento, che lo stesso maestro giapponese ha annunciato essere il suo ultimo lungometraggio, si dedicherà solo a cortometraggi, arriva nelle sale italiane ma solo per quattro giorni: 13,14,15 e 16 settembre. In questo suo nuovo e raffinato universo animato e sonoro (realizzato con la voce) di sussulti, gemiti e movimenti violenti della terra e del mare, improvvise lacrime e risate fragorose, Miyazaki dà vita ai conflitti contemporanei, interrogandosi sul senso dell’arte e sulle sue relazioni col mondo, dunque anche su quello del fare cinema.

Miyazaki ritrova le tensioni visive di tanti suoi film (Principessa Mononoke, Il viaggio di Chihiro…) e allo stesso tempo si volge alla sua storia familiare, e ai rapporti tra il padre progettista areonautico legato all’industria bellica nella seconda guerra mondiale. Al punto che in Giappone lo hanno accusato di militarismo, a cominciare dalla scelta del protagonista, cosa assurda di fronte a un film che a ogni fotogramma condanna, nella sostanza e non con la retorica, la guerra in ogni sua forma. E di tutti i film del regista è quello in cui i colori delle superfici mascherano più a fatica le inquietudini pesanti tanto che lo stesso Miyazaki ha detto, alla sua uscita in Giappone, quasi scusandosi che forse è destinato più a un pubblico adulto.

La storia si ispira alla vita di un personaggio realmente esistito, l’ingegnere aereonautico Jiro Horikoshi, inventore dei aerei da caccia Zero, l’arma dei kamikaze che bombardarono Pearl Harbour , a cui il regista giapponese mescola quella dello scrittore Tatsuo Hori, facendoli diventare un’unica persona.. Jiro fin da bambino, è appassionato al volo e soprattutto agli aerei. Nei suoi sogni, spesso ad occhi aperti, incontra il suo eroe, l’ingegnere aeronautico italiano Gianni Caproni che gli insegna a credere nelle proprie aspirazioni. Jiro è miope, non potrà mai divenire pilota e così come Caproni progetterà gli apparecchi per sfidare l’azzurro del cielo. Lo sa bene che gli aerei sono destinati alla guerra, Caproni glielo ricorda spesso, e questo però potrà mai uccidere il sogno di sfide sempre nuove.

Mentre è in viaggio per Tokyo, Jiro incontra in un «colpo di vento» Naoko, la ragazza che sarà il suo grande amore. Il momento è terribile, la terra è all’improvviso da violenti singulti, è il terremoto di Kanta che con i suoi centocinquantamila morti, la distruzione delle città e la miseria cambierà profondamente il Giappone. Mentre Jiro studia ingegneria intorno a lui crescono nazionalismo,fascismo, e anche il mondo corre sempre più verso la guerra. Il ragazzo inizia a lavorare per la Mitsubishi, facendo ricerche per l’esercito che vuole armi sempre più potenti, per questo lo mandano in Germania, dal futuro alleato, lì la tecnologia è stupefacente.

Ha anche ritrovato Naoko che però è malata di tubercolosi, i due si amano e si sposeranno nonostante la malattia di lei …Miyazaki percorre il Novecento giapponese fino alla seconda guerra mondiale che rimane fuori campo, senza esplicitare se non per dettagli. L’atmosfera del Giappone imperialista viene resa attraverso lo sguardo distratto del protagonista, che vive chiuso nell’ossessione della sua ricerca.

Il mondo appunto dell’artista, di un creatore, che sembra non venire mai a contatto col tempo storico, o lo riveste di altre forme e di altri colori. Quasi un paradosso se si pensa a Miyazaki, che invece ha preso sempre posizione sulle questioni post-atomiche, su Fukushima, o contro la volontà del partito al governo ora in Giappone di cambiare la costituzione.
Con Jiro il regista condivide l’amore per il volo, per la dimensione aerea, per la spinta verso l’alto, quell’ebbrezza di tanti suoi personaggi, anche della streghetta Kiki che nelle sue Consegne a domicilio sfidava la gravità con la scopa. E che viene resa nell’animazione con un lavoro impressionante di leggerezza e colorazione, quasi fossimo in un musical del volo nella sua innocente bellezza, alla ricerca dell’attimo prima che quelle macchine volanti divengano qualcos’altro.

Ma è davvero così innocente? C’è una responsabilità di chi ricerca, inventa, scopre nuove strade che contengono in se senza assoluto il Bene e il Male, dipende dall’uso. Ma se questo sarà anche cattivo ci si deve fermare mettendo da parte anche quello buono? E ancora: come fa l’artista nella sua Montagna incantata a catturare il proprio tempo, a narrarlo, a precorrerlo sperimentandone le tensioni nell’immaginario? Miyazaki non ci da risposte in quello che sembra essere uno dei suoi film più complessi (sarebbe bello che la giuria di Bertolucci lo riconoscesse con un premio.

Nella continua tensione tra realtà e immaginario forse è impossibile afferrare fino in fondo quell’air du temps e i sogni son destinati a schiantarsi in certe condizioni della realtà Jiro si risveglia nel fumo nero della guerra, mentre Naoko se ne è andata per sempre. L’arte a volte è impotente, la vita aresiste, va altrove. Come il parasole di Naoko portato via dalla tempesta.