Povero Franceschini! Se fino a ieri non ha mai goduto di attendibilità come ministro della cultura e dello spettacolo, accusato universalmente di insipienza profonda su quanto avrebbe dovuto amministrare, da ieri ha cambiato ruolo. E via video ha vibrato come predicatore, quasi esorcista, accusandoci tutti di non renderci conto della «gravità del male». Affermazioni che mal si conciliano con quanto riferito da tutta la stampa ieri: l’acceso contenzioso con il collega responsabile dello sport, il 5 stelle Spatafora, che ha imposto la chiusura di cinema e teatri perché venivano chiuse le «sue» piscine e palestre. Tutti chiusi e tutti vincitori, tutti egualitariamente giustiziati come sale bingo e sale scommesse. Senza dover spiegare, Franceschini ministro, perché non abbia voluto chiudere ad esempio i musei, che pure amministra e che restano a questo punto l’unica occasione «culturale» per il cittadino. Tanto che qualcuno, maligno, ha fatto notare che dai musei viene un diretto introito per lo stato, oltre al potere indiscutibile di diversi sovrintendenti…

IN COMPENSO su Franceschini e il governo tutto si è levata una marea di critiche e di richieste di qualche ripensamento se non di dimissioni, come mai prima. Con l’unica eccezione, teletrasmessa, di Monica Guerritore che ha detto di apprezzare molto il lavoro del ministro, beata lei. Ai lavoratori dello spettacolo, cui si sono quasi ovviamente uniti amministratori e responsabili delle associazioni di categoria (il padronato, fatto più di nominati che di imprenditori puri, dell’industria artistica italiana) non è restato che esprimere la più forte protesta, magari unendosi alle manifestazioni di ristoratori e negozianti che esplodono dappertutto. Il problema è che l’unica promessa, parziale ma lauta, di risarcimento per la chiusura andrà ai grandi teatri ufficiali (finora è stato l’ottanta per cento dei contributi ricevuti nel 2019) e alle istituzioni, musicali e operistiche, pubbliche. Che magari possono anche ripianarci i deficit pregressi. Anche se già ieri veniva lanciata la cassa integrazione per i lavoratori del Maggio musicale fiorentino. Niente di tutto questo è previsto per le molte migliaia di precari e lavoratori con contratto a termine, che pure sono quelli che il teatro lo fanno esistere.

CI SONO STATE già delle proteste vibranti e sensate a questa carneficina annunciata per decreto. Riccardo Muti in una lettera aperta ricorda, senza nessuna retorica, l’importanza che un pubblico possa riunirsi, e commuoversi e godere, tutto unito attorno a uno spettacolo o a un concerto. E non servono i ricordi ginnasiali per aver presente che da assemblee di pubblico attorno alle rappresentazioni tragiche è nata e abbia preso corpo la democrazia ateniese. Anche, e tanto più, nei densi momenti di guerra che attraversavano l’Ellade. Oggi non a caso, a Berlino o a Parigi, con situazione sanitaria più grave che l’Italia, è ancora possibile prenotare i posti a teatro anche per i prossimi giorni. L’orario è stato anticipato di un’ora o due, ma, con tutte le precauzioni e le prescrizioni del caso, il teatro è una pratica cui non rinunciare. Lo raccontava Mario Martone, che per sfizio è andato curiosare in quei botteghini elettronici, durante una serata all’Argentina in cui davvero sembrava di partecipare a L’ultimo spettacolo, non quello struggente di Bogdanovich, ma al funerale del nostro.