Venerdì Angelino Alfano ha fatto tardi, si è intrattenuto a lungo con Berlusconi sull’unico argomento all’ordine del giorno nel Paese immaginario: i problemi di Berlusconi. E intanto il Paese reale si dedicava alla routine dei naufragi, ai 34 cadaveri raccolti nottetempo nel Canale di Sicilia, che si aggiungono ai 358 (19 recuperati ieri) trovati finora davanti alla costa di Lampedusa. Così stamane, con la faccia di chi ha dormito poco, ha affrontato le telecamere per dire che lui con Berlusconi s’intende a meraviglia. E a chi gli chiedeva notizie sullo stato di salute della legge Bossi-Fini, ha risposto con una certa irritazione che è «una declamazione demagogica» quella che pretende di abolirla. Il nostro ministro degli Interni – al pari di Umberto Bossi, che ieri a Torino ha partecipato a una manifestazione per salvare la norma che porta anche il suo nome – ha le idee chiare: dare un po’ di soldi ai paesi africani, «a condizione che loro aiutino l’Italia e l’Europa a bloccare i mercanti i mercanti di morte».

L’immigrazione, insomma, per il vicepresidente del Consiglio è ancora un problema di polizia, anche dopo i ventimila morti degli ultimi vent’anni, dopo i morti di venerdì, che secondo l’Unhcr sono ben più di 34: alcuni dei 206 superstiti, infatti, hanno riferito che sul barcone viaggiavano 400 persone. Se è così, ne mancano all’appello 160, che non avranno una sepoltura, inghiottiti dalle acque profonde del Mediterraneo, a 60 miglia dalla costa lampedusana, dove è avvenuto il naufragio alle 16 di due giorni fa. E i sopravvissuti hanno raccontato altro: dopo la loro partenza dal porto libico di Zawara, una nave ha sparato contro il barcone, ferendo tre persone.
Se non fai il ministro capisci la dimensione della tragedia: «Basta, non si può andare avanti così», dice Pietro Bartolo, il medico di Lampedusa, mentre presta le cure a una famiglia di siriani, marito, moglie e figlio. «Non si può andare avanti così», ripete Giusi Nicolini, sindaco dell’isola più martoriata d’Italia. «Bisogna istituire subito dei corridoi umanitari, ma non facendo accordi tra fazioni belligeranti dei paesi in guerra, bensì inviando delegazioni europee nei porti del Nordafrica per impedire che i profughi s’imbarchino sulle carrette del mare e consentire loro di arrivare da noi senza rischiare la pelle». L’Italia spende 200 milioni l’anno per affrontare l’emergenza, denaro impiegato soprattutto per il pattugliamento delle coste, per i rimpatri (4 mila euro per ogni immigrato rispedito indietro), per i cosiddetti centri d’accoglienza, come quello di contrada Imbriacola, a Lampedusa, ricavato a distanza di sicurezza dal centro abitato, in una pietraia che si raggiunge attraverso una strada polverosa. Lì 250 letti devono bastare per un migliaio di persone, come ben sanno il premier Enrico Letta e il presidente della commissione Ue José Barroso, che durante la loro visita a Lampedusa sono stati costretti (senza virgolette) dal sindaco Nicolini a vedere con i loro occhi cosa succede nel centro.

Ma ieri non era presente nessun rappresentante del governo al molo Favaloro, dove di buon mattino la nave Cassiopea della Marina militare ha attraccata per caricare a bordo le 358 bare da trasportare a Porto Empedocle, mentre sullo stesso molo arrivavano i migranti soccorsi qua e là nel Canale di Sicilia, in condizioni proibitive per il forte vento di scirocco e di libeccio che ha ingrossato il mare e fatto salire la temperatura a 35 gradi. Ma anche ieri, su quattro barconi, sono giunte 400 persone. E fino a sera il trasbordo sulla Cassiopea non era terminato: l’operazione è stata più volte interrotta dai parenti dei morti – da giorni nell’Isola e a loro volta immigrati che vivono in altri paesi europei – che hanno sbarrato l’accesso al molo perché volevano porre sulle bare dei loro familiari una foto e un fiore. I morti di Lampedusa, contrariamente a quanto affermato dal governo nei giorni scorsi, non avranno un funerale di Stato nell’isola. Intanto, la prefettura di Agrigento si è attivata per trovare posti nei cimiteri della provincia.