Mercoledì 23 dicembre 2015 a Lausanna, in Svizzera, è morto all’età di 89 anni Hocine Aït-Ahmed, l’ultimo dei grandi leader della rivoluzione algerina.

Hocine Aït Ahmed era un uomo politico e intelletuale algerino nato il 20 agosto 1926 a Ait Yahia, una piccola località nella provincia di Tizi-Ouzou. All’età di 16 anni entra nel Partito del Popolo Algerino (Ppa), la formazione indipendentista allora guidata dal leader storico Messali Hadj. Nel 1946 partecipa alla fondazione dell’Organizzazione Segreta (Os), primo nucleo rivoluzionario che porterà poi alla fondazione del Fronte di Liberazione Nazionale (Fln) che entrerà in conflitto con la direzione storica del Ppa e che dichiarerà aperta la stagione della lotta armata.
Nel 1954, al Cairo dove si trovava perché ricercato in Algeria per alcuni operazioni armate, tra cui la storica rapina della Posta Centrale di Orano in compagnia di Ahmed Ben Bella, Aït-Ahmed diventa uno dei dirigenti del Fln all’estero.

Il 22 ottobre 1956, l’aereo civile marocchino, partito da Rabat, sul quale viaggiava la dirigenza politica del Fln diretta al Cairo per un’importante conferenza, viene dirottato dai francesi verso Algeri. Aït-Ahmed insieme a 3 dei massimi dirigenti del Fronte, Mohamed Khider, Ahmed Ben Bella e Mohamed Boudiaf, e all’intellettuale algerino Mustafa Lachref.

Nel 1962 rientra in Algeria ed è eletto all’Assemblea Nazionale Costituente (Anc), quella che doveva scrivere la costituzione del giovane paese e mettere su rotaie il suo sistema politico. Ma l’assemblea è solo formale e a dirigere con mano di ferro è l’esercito, con alla sua testa il colonnello Houari Boumedienne, e il suo uomo di paglia il presidente Ahmed Ben Bella.

Nel 1963 la crisi politica è totale. Ben Bella e l’esercito mettono il catenaccio sulle istituzioni della giovane repubblica e quasi tutti i leader storici della lotta armata vengono messi fuorigioco. Molti sono arrestati, alcuni fuggono all’estero. Aït-Ahmed insieme ai pochi veri maquisards rimasti in Cabilia sale in montagna e riprende le armi. Fonda così il suo partito: Il Fronte delle Forze Socialiste (Ffs). Ma l’avventura dura poco. La popolazione è stanca di guerre. 7 anni di conflitto devastante hanno lasciato il paese senza forze. Aït-Ahmed scende dalle montagne e si arrende insieme alla direzione politica del suo partito. Il tribunale li condanna a morte. Ma sono eroi di guerra. Ucciderli avrebbe avuto un effetto devastante sul paese. Qualcuno chiude un occhio e tutti riescono scappare dal carcere. Per Aït-Ahmed e molti ex leader del Fln comincia la stagione dell’esilio. Un esilio che sarà il suo pane quotidiano per il resto della vita. Rientrato brevemente in Algeria durante l’apertura democratica dei primi anni 90, presto la violenta guerra scoppiata tra il Fronte Islamico di Salvezza (Fis) e l’esercito lo costringe a tornare in Svizzera.

Ha lottato tanto, lavorato tanto. Ha commesso anche molti errori. Alcuni gli rimproverano di aver scelto la comoda Svizzera invece di rimanere nella mischia in patria. Altri denunciano le sue posizioni intransigenti a favore della democrazia e del dialogo, sempre e con tutti. Uomo discreto e di grandissima cultura, ha sempre evitato le polemiche inutili e i colpi di teatro. Anche la sua partenza è stata discreta e silenziosa.
Così in una stanza di ospedale sulle rive del lago Leman si spegneva l’ultimo di quel gruppo di giovani leader che un giorno hanno deciso di affrontare con le armi in mano l’ordine coloniale in Algeria.