La seconda guerra civile americana inizierà nella notte fra il 3 e il 4 novembre, quando Trump pretenderà di aver vinto le elezioni, se i primi risultati gli saranno favorevoli, oppure strillerà che è in corso una gigantesca frode , se dalle urne sembrerà uscire una maggioranza per il candidato dem Joe Biden.

In entrambi i casi, lo scontro sarà frontale: non solo su Twitter, nelle televisioni e sui giornali ma nelle aule di tribunale e, poco dopo, nelle piazze. Non è la sceneggiatura di una serie televisiva come House of Cards o Designated Survivor ma una possibilità perfettamente concreta alla luce di ciò che lo stesso Trump sta dicendo da settimane su Twitter e che i suoi collaboratori stanno ripetendo alla convenzione repubblicana iniziata lunedì.

Una strategia del presidente uscente che si basa sui numeri: il 55% degli americani disapprova il modo in cui Trump governa, solo il 42% lo approva. Un giudizio che in realtà è identico a quello del 20 gennaio 2017, quando entrò in carica. Questo ci dice due cose: primo che Trump è sempre stato un presidente di minoranza (ricordiamo che fu eletto solo grazie al meccanismo del collegio elettorale, pur avendo raccolto 3 milioni di voti meno di Hillary Clinton).
Secondo, il blocco dei suoi sostenitori è apparentemente inscalfibile: bugie, incompetenza, perfino i 170.000 morti provocati dal Covid-19 non hanno intaccato la sua popolarità fra i repubblicani.

Come si fa a vincere le elezioni pur essendo minoranza? Per esempio impedendo agli elettori di Biden di votare. Detto, fatto: tutti gli stati dove ci sono governatori repubblicani hanno varato regolamentazioni restrittive del voto, in particolare sopprimendo sezioni elettorali (già poche rispetto alle necessità) il che provocherà lunghe code ai seggi: non proprio un incentivo a fare il proprio dovere civico in tempi di epidemia. Questi attacchi al voto di persona si sono accompagnati al martellamento ossessivo di tweet contro il voto per posta, falsamente accusato di essere uno strumento di brogli.

Il voto per posta, quest’anno, dovrebbe essere lo strumento preferito degli americani negli stati che lo autorizzano e si calcola che 80 milioni di elettori dovrebbero ricorrervi. Non è detto, però, che questi 80 milioni di schede siano effettivamente contate: devono arrivare in tempo, le firme devono corrispondere, il timbro postale dev’essere valido.

Molti stati, inoltre, autorizzano i cittadini a votare per posta purché la data di spedizione non vada oltre quella dell’apertura dei seggi, quest’anno il 3 novembre.

Ma una cartolina spedita il 3 novembre potrebbe benissimo arrivare il 6, o il 10, o il 15 novembre, il che rende certo che la notte delle elezioni decine di milioni di voti non saranno ancora arrivati, men che meno scrutinati. Il che darà la possibilità a Trump di autoproclamarsi vincitore se gli exit poll, o i primi risultati parziali, saranno a suo favore.

Per essere più sicuri che vada proprio così il ministro delle Poste Louis DeJoy, sta cercando di rallentare la consegna della posta eliminando i macchinari che smistano le lettere, vietando la personale di fare straordinari, riducendo il numero di punti di raccolta e quant’altro.

DeJoy è stato messo sulla graticola dai democratici alla Camera, lunedì, ma si è rifiutato di garantire che questi provvedimenti avviati nelle scorse settimane saranno annullati. Dal punto di vista più specificamente politico, invece, la convenzione si presenta come il bastione della minoranza bianca che si sente minacciata nel proprio status dall’attivismo degli afroamericani e degli ispanici, in particolare dopo l’ondata di manifestazioni di Black Lives Matter.

Per esempio, lunedì hanno parlato dal palco della convenzione Mark and Patricia McCloskey, due bizzarri avvocati di St. Louis, Missouri, che il 28 giugno scorso erano usciti di casa brandendo un mitra (lui) e una pistola (lei) mentre un gruppo di dimostranti passava davanti a casa loro, diretti alla casa del sindaco della città.

Nelle zone rurali degli Stati Uniti, non è insolito imbattersi in cartelli «No Trespassing» inchiodati al cancello, con la precisazione «Ai trasgressori noi spariamo».

Lo humor nero rurale talvolta aggiunge: «Ai sopravvissuti spariamo di nuovo». Quello dei McCloskey, però, è un sobborgo residenziale, non una fattoria del Montana, e le minacce contro una processione pacifica erano del tutto ingiustificate, oltre che palesemente illegali.

Il fatto che la convenzione repubblicana faccia della coppia un simbolo è quindi parte del tentativo di mobilitare la base repubblicana contro i «comunisti» e gli «anarchici» che si servirebbero di Joe Biden e Kamala Harris per distruggere l’America bianca, le sue proprietà e le sue tradizioni.

La vera incognita, a questo punto, è quale sarà la strategia dei democratici per far fallire il piano di Trump e cacciare il dittatorello con il toupet arancione dalla Casa Bianca.