«Guardate, guardate, questa è una galleria d’arte popolare. Il miracolo di Hugo Chávez è di aver trasformato un popolo che viveva in miseria in un soggetto libero e creativo». Sul grande palco in Piazza Bolivar, Nicolas Maduro pronuncia il discorso di fine campagna. Domani si elegge il presidente che sostituirà Chávez, morto il 5 marzo. L’altro grande contendente è Henrique Capriles Radoski, leader della Mesa de la unidad democratica (Mud), di opposizione.

A Maduro la gente offre quadri e disegni che lo dipingono attorniato da cocorite australiane: «Domenica saremo dieci milioni di pajariti e pajarite», dice ridendo Maduro. Durante la breve campagna elettorale, iniziata il 2 aprile, aveva detto che il leader scomparso gli era apparso in forma di “pajarito chiquitito” per consolarlo, e l’opposizione si era scatenata. Lui aveva però rivendicato la propria “spiritualità”, iniziando ogni comizio col fischio dell’uccello.

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L’uomo è così. Il partito da cui proviene – la Lega socialista – ha fornito al movimento di Chávez i quadri di più solida formazione marxista, sovente di scuola cubana. Maduro è stato autista di autobus, dirigente sindacale, presidente dell’Assemblea, ministro degli Esteri e vicepresidente del Venezuela. Di famiglia ebraica, prima «ateo dichiarato poi cristiano», come moltissimi venezuelani è però anche seguace del guru indiano Sai Baba, morto nel 2011. Questo è d’altronde un paese in cui ogni stato ha il suo santo di strada, oggetto di culto popolare. Sia Maduro che Capriles hanno cercato di servirsene nei comizi locali. Maduro ha condotto la campagna nel segno della continuità con il leader scomparso.
Anche Capriles ha cercato di sfruttare la figura del suo grande avversario di prima per sminuire la statura di quello attuale. Nell’ultimo comizio pronunciato nello stato Apure davanti a una gran folla di sostenitori, ha accusato Maduro di essere il «pupillo dei cubani» e di aver «sprecato 70 miliardi per comprare sostegno politico all’estero», in particolare consentendo all’Argentina di mantenere un debito in contratti petroliferi «pari a 13 miliardi di dollari».

Erede di una ricca famiglia di origini ebraiche, Capriles è stato il più giovane parlamentare, eletto nel partito socialcristiano Copei, nel ’98. Sindaco del comune di Baruta per due mandati, ha poi fondato il partito di destra Primero Justicia, e ha vinto per due volte il governo del ricco stato Miranda: una prima nel 2008, quando ha battuto l’attuale presidente dell’Assemblea Diosdado Cabello, e una seconda il 16 dicembre scorso, quando ha superato con uno scarto minimo l’attuale ministro degli Esteri, Elias Jaua. Il 7 ottobre, ha perso con Chávez, ottenendo il 45% dei consensi contro il 54. Un’inchiesta di Datanalisis realizzata dall’1 al 5 aprile su un campione di 1.300 persone in tutto il paese, gli attribuisce il 45,1% delle intenzioni di voto, contro il 54,8% di Maduro: uno scarto minore – secondo questa indagine – di quello registrato a marzo.

Nel febbraio 2012, Capriles ha vinto le primarie dell’opposizione come candidato alle presidenziali totalizzando 1.900.528 voti, ossia il 64.2% dei votanti. Nello schieramento di opposizione, Primero Justicia è il primo partito (e il più estremo) della coalizione Mud, composta dalle due formazioni che hanno governato nella IV Repubblica – Accion Democratica (Ad), di centrosinistra, e Copei, di centrodestra – da qualche microscissione di estrema sinistra, i cui leader hanno litigato a suo tempo con Chávez (come una parte di Bandera Roja e Causa R) e da formazioni di estrema destra, come Juventud Activa Venezuela Unida (Javu): di marca Cia al pari del gruppo Otpor, comparso per la prima volta in Serbia nel 2000.

Il tasso di litigiosità della Mud resta però elevato e non gli sarebbe facile formare una squadra di governo. Capriles ha accettato questa ultima candidatura dopo un viaggio in Colombia dall’ex presidente Alvaro Uribe – che si è espresso a suo favore – e negli Stati uniti («gli hanno regalato un appartamento a New York che vale miliardi di dollari», dicono i suoi avversari). In questa campagna elettorale, ha anche perso pezzi del suo schieramento (soprattutto copeiani), che hanno dato appoggio a Maduro. Nelle due ultime campagne elettorali, Capriles ha cercato di presentarsi come un uomo della sinistra moderata, ammiratore dell’ex presidente brasiliano Lula da Silva, che lo ha smentito inviando un video in cui appoggia Maduro. In questi giorni, ricorrono però 11 anni dal colpo di stato contro Chávez, messo in atto dai vertici imprenditoriali, dalle gerarchie ecclesiastiche e da ufficiali golpisti nel 2002. Allora Capriles era sindaco di Baruta, i filmati lo mostrano mentre assalta l’ambasciata cubana, che si trova nel suo municipio. Le inchieste lo indicano come complice nell’aggressione all’ex ministro degli Interni Rodríguez Chacín, lo accusano di essere implicato nell’omicidio del giudice Danilo Anderson, che indagava sul golpe.

[do action=”citazione”]Capriles attacca l’«amico dei cubani». E riceve il sostegno di ex presidenti di destra come Aznar[/do]

Ieri ha ricevuto il sostegno di una coalizione di ex presidenti di destra, come lo spagnolo José Aznar, che si è riunita in Argentina, e che le reti sociali hanno denunciato come «cupola di golpisti». Il governo chavista ha annunciato di aver catturato paramilitari colombiani, entrati nel paese per destabilizzare, e di aver sequestrato armi da guerra provenienti dagli Stati uniti nello stato Lara, governato dall’opposizione. Ha anche mostrato documenti intercettati che accusano Primero Justicia di voler invalidare le elezioni (Capriles non ha firmato il documento di garanzia proposto dal Consiglio nazionale elettorale) e di aver contattato paramilitari salvadoregni nell’ambasciata Usa. In Salvador è stata aperta una inchiesta. Lo scorso 5 aprile, l’ex diplomatico statunitense William Blum ha ammesso che Chávez era nella lista dei capi di stato che la Cia ha tentato di eliminare, e ha definito «raro» il cancro che ha ucciso l’ex presidente. La tesi del «cancro inoculato» è presa seriamente, qui.
Maduro vuole aprire un’inchiesta. Ieri, abbiamo incontrato una donna che svolge «supporto all’intelligence bolivariana». Ci ha raccontato, con garanzia di anonimato, che circa due anni fa (il tumore del presidente è del giugno 2011) seguiva una trasmissione del presidente con una telecamera nascosta, e ha registrato «un laser violetto che passava ripetutamente sulla sua zona pelvica».
Sul palco di Maduro, la gente getta biglietti che vengono raccolti in un borsone. Ci si aspetta che il futuro presidente, come ha fatto il suo predecessore per 14 anni, tenga fede alle promesse e risponda. Maduro s’impegna, annuncia le prime misure urgenti che intende adottare se vincerà domenica: prima di tutto, aumento del salario in tre fasi, fino al 45%, entro fine anno. La Costituzione – spiega – prevede una specie di scala mobile che consente al presidente di decidere l’aumento per decreto. Anche le pensioni, parametrate sul salario minimo, verranno aumentate. Misure che vanno in senso opposto a quelle intraprese in Europa.

Anche Capriles ha promesso un aumento salariale, e in un colpo solo. «Quel borghesuccio capriccioso non ha mai lavorato, non sa come si manda avanti una famiglia e men che meno un paese», ha ribattuto Maduro. Poi ha mostrato un grafico. Nella IV Repubblica – ha affermato – cresceva l’inflazione, ma i salari rimanevano fermi, «nel ’96, l’unico momento in cui c’è stato un aumento del 10%, hanno eliminato le coperture sociali. Quando Chávez ha vinto le elezioni non c’era un soldo in cassa. Ora la povertà estrema è stata ridotta al 5-6%, stessa cifra per la disoccupazione».

Al fianco di Maduro, Diego Maradona firma palloni e li lancia alla folla. Una telecamera telecomandata, come un piccolo ufo, si alza nei dintorni, riceve gli applausi dei presenti. Un gruppo di ragazzini dei barrios si arrampica sulla tribuna-stampa, apre una busta e libera nel cielo una piccola frotta di pajaritos.