«Cantare è ascoltare». Ustad Saami, 75 anni, è l’ultimo interprete vivente del canto surti, un ubriacante sistema vocale poliglotta dalla storia millenaria e pluristratificata, che ancora emana un senso di estasi sfrenata e libertà pre-islamica che nel Pakistan odierno è di per sé una sfacciata professione di apostasia.

È un’arte che lui sembra voler governare con la gestualità delle mani, a metà strada tra un praticante di qi gong, un suonatore di theremin e le conductions di Butch Morris, ma da seduto, mentre emette senza sforzi muscolari apparenti una tempesta di improvvisazioni microtonali in un labirinto di 49 note che nessun software musicale sarebbe in grado di replicare.

 

Se avete presente l’intensità del canto qawwali, massima espressione artistica del sufismo Chisti, che grazie a una personalità debordante come Nusrat Fateh Ali Khan è diventata merce facilmente reperibile anche sul mercato occidentale della cosiddetta world music, siete sulla buona strada. Ma in Pakistan «il qawwali ormai è una musica buona per le feste nuziali, predilige i ritmi sostenuti e si è progressivamente commercializzato. I figli di Saami ne sanno qualcosa, devono pur vivere anche loro». A parlare è Ian Brennan, saggista e produttore per il quale viene quasi da parafrasare lo slogan preferito di Ustad Saami: perché anche produrre un disco vuol dire mettersi in ascolto. O almeno dovrebbe. Brennan ha appena estrapolato da ore e ore di registrazioni casalinghe nella sua abitazione di Karachi, «alla fine delle quali il maestro sembrava rinvigorito», quello che è a tutti gli effetti l’album d’esordio di Ustad Saami, God Is Not A Terrorist (Glitterbeat).

«Il Surti è diverso, è scuro e tormentato – prosegue Brennan -. Ma è una forma pre-islamica e in quanto tale non viene accettata dagli integralisti, i quali del resto hanno di fatto espulso tout court la musica dall’Islam. Per questo Saami rischia ogni giorno la pelle per tenere in vita questa meraviglia e trasmetterla».