Oggi sembra una norma, quasi che il tempo, snocciolando i decenni con quell’indifferenza che sempre gli attribuiamo, avesse al solito ridotto a routine quanto invece era novità decisiva. Rock e musica classica. Rock e orchestre classiche. Oggi ad esempio, ultimi arrivati, potremmo citare Opeth e Anathema, quella generazione che passo dopo passo s’è riavvicinata a quel decennio cruciale in cui per la prima volta l’energia fremente del rock incontrava le volute tornite dei musicisti abituati a suonare con uno spartito e un direttore davanti. Una storia che era iniziata con i Beatles, era transitata per i Moody Blues di Days of the Future Passed,1967. Aveva toccato i Deep Purple di Jon Lord, musicista di formazione classica, con Concert for Group and Orchestra, aveva poi interessato anche gli Uriah Heep di Salisbury. Poi, pietra miliare per il rock progressivo, italiano e mondiale, arrivò Concerto Grosso per i New Trolls. Un milione di copie vendute. Louis Bacalov con i New Trolls, 1971.

NOTE BAROCCHE
Il rock, che delle note barocche era in fondo sempre stato innamorato, per la regolarità ritmica e la spinta compatta garantita dai suoi codici estetici, s’inventò il «concerto grosso». Guardando avanti e indietro nel tempo contemporaneamente, rispetto a quanto era stato fatto prima, sempre in odore di romanticismo. Anche per i New Trolls stessi, che con un’orchestra, diretta da Gian Piero Reverberi si erano già trovati a lavorare in quello che forse è il primo concept album italiano, Senza orario senza bandiera, con i testi di Fabrizio De André. Splendide canzoni, non rock progressivo. Il «concerto grosso», dunque: guardando al nostro Settecento musicale compiuto e veneziano, quello di Corelli, Albinoni, Vivaldi. Bacalov arriva ai New Trolls con il tramite di Sergio Bardotti, che era all’epoca il produttore dei New Trolls, molte anime musicali diverse riunite sotto uno stesso nome. Bardotti era vicino di casa di Bacalov, a Roma, e suo compagno di lavoro, ad esempio in quel poco ricordato giro di artisti che scrivevano un nuovo tipo di canzoni per l’infanzia, ben lontane dalle melense tiritere precedenti: c’erano Vinicio de Moraes, Chico Buarque de Hollanda, Toquinho, Bardotti, appunto, ed ecco chiuso il cerchio.
Bacalov, che ha un momento di gran lavoro, nello scrivere colonne sonore una dopo l’altra, all’inizio è titubante, ha messo occhi e orecchie sui Rokes, che sono i signori del beat, e con un leader carismatico come Shel Shapiro. Gente affidabile, precisa. Perché, bisogna dire, il Concerto Grosso originariamente nasce come colonna sonora per un film thriller, La vittima designata, di Maurizio Lucisi, con Thomas Milian nella parte dell’assassino. Il maestro argentino all’epoca lavora per la Rca: c’era entrato all’inizio degli anni Sessanta, momento di boom discografico, in cui in ogni casa italiana entrava un giradischi o almeno, un portatile «mangiadischi», accanto al televisore e alla lavatrice. Bacalov era un musicista scaltrito che così si definiva, secondo una dichiarazione resa a Francesco Mirenzi in un bel testo sul rock progressivo: «Sono nato in Argentina, e faccio parte di una generazione dove frequentare vari generi di musica era la norma, non l’eccezione. Le ragioni erano tante. Prima di tutte economiche. Già da ragazzo mostravo un certo eclettismo. Ho frequentato gli ambienti jazzistici. Avevo una grande curiosità che, almeno per la mia generazione in America latina, era fortemente sviluppata tra gli artisti. Ho incorporato senza grossi traumi, a poco a poco, gli elementi delle musiche più svariate».

FONTI INGLESI
Come scocca la scintilla del Concerto Grosso, dunque, e la forma barocca alla veneziana e il rock progressivo assieme, che già Luis l’argentino aveva avuto modo di ascoltare dalle fonti inglesi, così «altre» rispetto alle mere canzonette? L’idea nasce dal plot stesso del film. Bacalov nota che il protagonista, giovane hippie aristocratico veneto (Pierre Clementi, nel film), è un nobile inquieto e tutt’altro che desideroso di seguire le orme consolidate dei suoi titolati parenti e avi. Dunque la musica barocca, a rappresentare il «corpo» della tradizione, in dialettica continua con la contemporaneità di un gruppo rock: dove a volte volano le scintille, a volte si crea un misterioso clima d’armonia tra corde acustiche e corde sature di watt. Non che Bacalov prenda la cosa troppo sul serio, sul piano dei contenuti: è per lui una sorta di divertissement, un lavoro da fare con dedizione e arguzia, ma, appunto, un lavoro .
«Io non ho mai capito il meccanismo per il quale un pezzo diventa un qualcosa che per la gente segna una svolta, oppure ha un gran successo. Per me è sempre stato così», dichiara. E altrove: «Quella fusione era già nell’aria. Non l’ho inventata io. Avevo ascoltato qualcosa, forse i Nice di Keith Emerson dall’Inghilterra. Intendiamoci: io non ho copiato nessuno, ma non credo di avere inventato nulla. Nel senso che si sentivano dei fermenti nell’aria».
Comincia un andirivieni tra lo studio Ortophonic di Roma e il Fonit Cetra di Milano, tra il 23 e il 27 marzo Bacalov fa nascere con i Trolls il Concerto Grosso diviso in tre tempi, Allegro, Adagio, Andante con Moto. Sul finale c’è una citazione dall’Amleto di Shakespeare, e con una dedica per il musicista che i New Trolls più hanno amato, e appena scomparso: Jimi Hendrix. Secondo la testimonianza di Nico Di Palo, chitarrista potentissimo e istintivo dei New Trolls pubblicata sul libro Codice Zena di Riccardo Storti, «il rapporto con Bacalov fu “eccezionale, c’è una stima ancora viva”, e ugualmente con gli orchestrali».
In realtà lui racconta che quei rockettari erano «come avere una scolaresca un po’ riottosa. Ma per fortuna non ero io che stavo dietro ai loro problemi. C’era Bardotti per questo». È nato il Concerto Grosso: un lato di ellepì. Dall’altra parte una clamorosa «improvvisazione in diretta nella sala vuota» dei New Trolls: per alcuni un mero atto di auto-indulgenza prog, per altri il vero lato graffiante dei New Trolls in bilico tra Jethro Tull e Hendrix. C’è del vero in entrambe le ipotesi, al riascolto. Il Concerto Grosso per Bacalov sembra un unicum: non finisce lì, invece. Nel 1972 esce Preludio, tema, variazioni, canzona, colonna sonora degli Osanna per il film Milano Calibro 9: il Preludio per questi epici progster campani è di Bacalov. Dell’anno successivo l’esplicito Contaminazione, del Rovescio della Medaglia, uno dei pochi gruppi hard prog italici: la potenza dell’orchestra coinvolta è, di nuovo, frutto del lavoro di Luis Bacalov. E i New Trolls? Nel 1976 esce Concerto Grosso n. 2, Bacalov è di nuovo con i «ragazzi» genovesi, reduci, un lustro dopo, da mille lacerazioni, ricongiungimenti, sospetti e dischi incrociati. De Scalzi e Di Palo sono di nuovo assieme, però. Di nuovo, tre tempi: Vivace, Andante, Moderato. Compaiono per la prima volta i sintetizzatori. Il compositore argentino non è soddisfatto, dirà a cose fatte che «ha rifatto se stesso», secondo il detto spagnolo che «le seconde parti non sono mai buone». Il tempo sarà più indulgente, con il disco: non un capolavoro, ma un’incisione del tutto degna.
Nel 1995 Bacalov precisa che con i New Trolls avrebbe voluto lavorare a un terzo concerto grosso ma che «osservando il loro modo di procedere, sia con gli altri che con me, non sono cambiati per niente; quindi non si realizzerà perché non si può lavorare con persone irresponsabili, e la cosa mi infastidisce particolarmente perché sono ottimi musicisti». E qui è la chiave, «ottimi musicisti»: l’argentino ci sarà anche per il terzo Concerto Grosso, eccellente, quarant’anni esatti dopo il primo: 2011. La storia di un veliero colmo di musicisti che approda a Venezia, una Venezia che muore e risorge, che è sogno e realtà. Incubo e consolazione. Di nuovo Shakespeare. Di nuovo Venezia, di nuovo Bacalov e i New Trolls. Questa volta, per sempre.