Milano non ne può più dei suoi riti. Spettacolari e politici. Sfibrata da sei mesi di eventi veri e presunti, la città si è fatta scivolare addosso Sant’Ambrogio e la prima della Scala come se niente fosse. Difficile dare risalto al 7 dicembre più sotto tono degli ultimi anni. Non un vip da martirizzare (solo Santanché vestita da arbre magique), non una polemica o un décolleté da sbirciare. Striminzito anche l’elenco delle “autorità” che incuriosiscono e fanno ruggire il “popolo” ingabbiato in piazza della Scala: non c’era il presidente della Repubblica, sono rimasti a casa anche Pietro Grasso e Laura Boldrini e dai ministri Franceschini e Delrio non sono pervenute suggestioni degne di nota. La prima più mesta è toccata in sorte alla “Giovanna d’Arco” di Giuseppe Verdi diretta da Riccardo Chailly (anche il loggione più esigente del mondo non ha avuto niente da ridire).

Non ci sono stati nemmeno gli “attimi di tensione” per le gallerie fotografiche dei quotidiani online che aggiornano il nulla in tempo reale. L’unica notizia di un certo rilievo è stata battuta alle 17,35: “Renzi è arrivato alla Scala”, con consorte. Ce l’ha fatta ma nessuno l’ha visto. Avrà sfoggiato il calzino? Giusto per dare il tono della serata bisogna dire che Milano era “blindata” come non mai, con centinaia di poliziotti e carabinieri a circondare il circondabile in una surreale prova di forza di fronte a una ventina di “antagonisti” del centro sociale Cantiere (quest’anno è andato molto anche l’articolo “centinaia di cecchini sui tetti”). Dal canto loro, i ragazzi e le ragazze prima hanno srotolato lo striscione “Centinaia di ricchi, miliardi di poveri. Questo è lo stato di emergenza” e poi hanno mimato una sfilata di moda per sfottere l’imbarazzante umanità che in quel momento stava mettendo in mostra se stessa nel foyer del teatro, questa volta però dopo aver sperimentato il brivido dell’ingresso con metal detector. Allarme terrorismo. Alla protesta in piazza si è unita anche la Cub per ricordare gli otto lavoratori della Scala morti per aver respirato fibre di amianto durante la ristrutturazione del teatro avvenuta quindici anni fa: “Attorno a questa tragedia, in Scala c’è un clima immorale e pericoloso di omertà dei dirigenti”.

Una menzione particolare, perché il prossimo anno i milanesi ne sentiranno la mancanza, va allo smoking di Giuliano Pisapia: ieri per la quinta e ultima volta ha varcato la soglia del Piermarini e già oggi scomparirà per sempre nell’armadio del politico più stimato d’Italia. A lui, invece, restano ancora sei mesi di sovraesposizione e probabilmente ne avrebbe fatto a meno. Più che la prima di Verdi, il problema per il sindaco sono le primarie di questo disastrato centrosinistra milanese la cui dissoluzione si è compiuta sulle proprie rovine. Non riescono nemmeno a mettersi d’accordo sulla data, ma non è più questo il nodo da sciogliere perché lo stesso sindaco ha “ordinato” alla sua ala sinistra (Sel) di accettare lo spostamento al 28 febbraio. A far saltare la presunta unità del centrosinistra è il nuovo protagonismo di Pisapia che ha dovuto smettere i panni dell’arbitro imparziale per resistere all’entrata a piedi uniti di Matteo Renzi che ha imposto il suo candidato Giuseppe Sala (ieri il manager ha ribadito la sua disponibilità a prendersi Palazzo Marino).

Ufficialmente non lo ammetterà mai prima del 20 gennaio quando verranno ufficializzate le candidature, ma è evidente che il sindaco di Milano parteggia per la sua vice Francesca Balzani. Un colpo di teatro inammissibile. Per il Pd, perché sanno che una candidata “unta” da Pisapia potrebbe anche battere l’ex manager dell’Expo. E per Sel, che ha puntato tutto sul candidato Pierfrancesco Majorino che adesso si trova costretto a recitare una parte che non merita: dovrebbe farsi da parte per non penalizzare la candidata prescelta dal sindaco uscente. E non ci sta. Dire che sono tutti contro tutti non rende l’idea. I due candidati più esposti ieri non hanno voluto guastare il molle lunedì di Sant’Ambrogio. Majorino si è limitato a dire che spera di convincere Pisapia a sostenerlo, e Balzani ha chiesto di essere lasciata qualche giorno in pace per decidere cosa fare. I due si incontreranno nei prossimi giorni e in ogni caso hanno già detto che saranno leali con il vincitore delle primarie, Sala compreso. Quindi è panico tra i milanesi di Sel che ancora non hanno deciso se partecipare all’eventuale festa del candidato del partito della nazione: li si nota di più se vengono e se ne stanno in disparte o se non vengono per niente?