Né le feste natalizie né la politica di «tolleranza zero» annunciata e brutalmente applicata dall’intendente Felipe Guevara hanno impedito ai manifestanti di tornare a occupare venerdì la Plaza Italia, «Plaza Dignidad», nell’«ultima grande marcia dell’anno» a Santiago.

Nello stesso giorno in cui il presidente Piñera ha firmato il decreto di convocazione del plebiscito su una nuova Costituzione per il prossimo 26 aprile – frutto dell’accordo tra le forze politiche definito dai manifestanti come la «trappola costituente» –, in più di 50mila hanno rivendicato il loro legittimo diritto alla protesta, sfidando la violentissima repressione operata da un incredibile numero di carabineros a cavallo, in moto e alla guida di carri blindati.

E se lo scorso venerdì per poco non c’era scappato un morto – il ventenne Óscar Pérez, investito intenzionalmente da un blindato in una delle scene più agghiaccianti della ricca galleria degli orrori DElla repressione governativa – stavolta una vittima c’è stata: un uomo, ancora senza nome, caduto in un fosso mentre fuggiva dalla polizia e morto fulminato da cavi elettrici bagnati dagli idranti.

C’è stato pure un incendio, che ha provocato la quasi totale distruzione del famoso Cine Arte Alameda – «un luogo fondamentale nella scena audiovisiva e musicale di Santiago», secondo la ministra della Cultura Consuelo Valdés – a cui faceva capo anche il personale medico impegnato a soccorrere i feriti: secondo diversi testimoni, sarebbero stati proprio i carabineros a provocare l’incendio con il lancio di lacrimogeni.

Il 2019 si chiude in Cile nel segno della rivolta sociale iniziata due mesi e mezzo fa. E in vista del nuovo anno gli occhi sono puntati sulla Mesa de Unidad Social, la coalizione di movimenti sociali e organizzazioni sindacali (più vicina al Partido Comunista e al Frente Amplio) a cui le forze popolari che non hanno mai smesso di scendere in piazza chiedono di rompere la tregua mantenuta di fatto con il governo dall’ultimo sciopero nazionale del 26 novembre, per dare così la spallata decisiva al regime di Piñera.

«Siamo l’anima collettiva della liberazione», incita dall’ospedale in cui si trova ricoverato con gravi ferite il giovane Óscar Pérez: «Per quanto ci investano, ci tolgano la vista, ci violentino, ci assassinino, continuerà a vivere in noi lo spirito di libertà presente in ogni anima assetata di giustizia nei confronti dei propri simili e della pacha mama».