Visioni

L’ultima frontiera di Jazz & Wine of Peace

L’ultima frontiera di Jazz & Wine of PeaceSimone Zanchini e Antonello Salis

Musica La ventitresima edizione si è chiusa proprio un giorno prima del nuovo 'lockdown' con una serie di eventi di prestigio

Pubblicato quasi 4 anni faEdizione del 31 ottobre 2020

Come può essere un Festival Jazz ai tempi del coronavirus? Una battaglia, tra cancellazioni di tour, coprifuochi veri (in Slovenia annullati all’ultimo momento i tradizionali concerti transfrontalieri) e annunciati, disdette del pubblico, sostituzioni di musicisti in corsa. Fare un Festival jazz in queste condizioni è un atto di resistenza. E Jazz & Wine of Peace, edizione numero ventitre, è riuscito a mantenere la programmazione e concludere il suo cammino proprio il giorno prima del nuovo Dcpm che ha chiuso nuovamente tutti gli spazi dal vivo, cinema e teatri. 

PROGRAMMAnutrito, più di trenta concerti in quattro giorni, con un preferenza per artisti poco presenti negli altri cartelloni della penisola, anteprime e progetti originali. Nel Teatro Comunale il quintetto Fulsome X, guidato dall’austriaco Wolfgang Puschnig ha dato un concerto eccellente per rigore interpretativo, garbata ironia, organizzazione dei ruoli e dei piani sonori. Con il leader al sax e flauto, il maiuscolo tubista afroamericano Jon Sass, la violoncellista croata Asja Valčič, il chitarrista Primus e il batterista Reinhardt Winkler su una serie di brani dal netto profilo tematico di impronta colemaniana tra funk, blues e New Orleans. Perfetti gli impasti timbrici, gustosi i siparietti solistici. Da applausi. Un festival che si rispetti offre almeno una rivelazione. Quest’anno è stata la giovane Valeria Sturba, nota ai più aggiornati nel duo OoopopoiooO con Vincenzo Vasi, e qui ascoltata in duo con il bandoneista Carlo Maver e in solo. Si destreggia tra violino, theremin, strumenti giocattolo, pedaliere varie, canto. Ha conquistato tutti.

Gabriele Mitelli ha confermato le sue qualità di sperimentatore con un solo di rara intensità utilizzando cornetta, sax soprano, genis, piccole percussioni, elettronica e voce. Tutta costruita intorno alla canzone Women of the World del cantautore scozzese Ivor Cutler la sua performance è stata una ode alla donna, una preghiera laica con schegge sonore naturali e sintetiche, noise, free jazz, art rock. Sciamanico.

QUEST’ANNO è stata particolarmente presente la formula del duo e se ne sono ascoltati almeno tre di notevoli. Il pianista Roberto Negro e il violinista Theo Ceccaldi hanno presentato il loro disco Montevago, con una visione ampia che si nutre di suggestioni classiche, musica antica, minimalismo, progressive e una vivace vena improvvisativa. Il sassofonista e clarinettista Daniele D’Agaro e l’organista Mauro Costantini hanno fatto risuonare gli spazi dell’Abbazia di Corno di Rosazzo del loro progetto ispirato ai discanti aquileiesi, forma antica di canto religioso polifonico da loro rielaborata in una serie di variazioni che guardano alla lezione di Duke Ellington e del jazz classico senza dimenticare le acquisizioni dell’avanguardia. Il lavoro è stato pubblicato dal Festival nel cd Submersus Jacet Pharao. Fuochi d’artificio, e non poteva essere diversamente conoscendo i due musicisti, con Simone Zanchini e Antonello Salis. Un vertiginoso ottovolante di suoni, scariche di adrenalina, teatro sonoro, ferocia belluina e languori da balera. Con Salis che si alternava tra pianoforte, aggredito con la consueta esuberanza, e fisarmonica i due hanno letteralmente infiammato il pubblico con una lunga improvvisazione mescolando Caravan e omaggi a Ennio Morricone per finire con una Paparazzi, storico cavallo di battaglia del jazzista sardo, da brivido. Un rito esorcistico liberatorio. Il Jazz, almeno quello, a Cormons gode di buona salute.

 

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