A partire da ieri il gruppo Riva Forni Elettrici, ex Riva Acciaio, ha annunciato la cessazione di tutte le attività dell’azienda, con conseguenti 1400 esuberi: si fermeranno quindi Verona, Caronno Pertusella (Varese), Lesegno (Cuneo), Malegno, Sellero, Cerveno (Brescia) e Annone Brianza (Lecco), servizi e trasporti (Riva Energia e Muzzana Trasporti). Il gruppo ha spiegato che queste attività «non rientrano nel perimetro gestionale dell’Ilva e non hanno quindi alcun legame con le vicende giudiziarie che hanno interessato lo stabilimento di Taranto».

Il che è vero in parte. Infatti, la stessa società sottolinea come la decisione «si è resa necessaria poiché il sequestro preventivo ordinato dal gip di Taranto e notificato alla società lo scorso 9 settembre, sottrae all’azienda ogni disponibilità degli impianti – che occupano 1.400 addetti – e determina il blocco delle attività bancarie, impedendo la normale prosecuzione operativa della società: ciò fa sì che non esistano più le condizioni operative ed economiche per la prosecuzione della normale attività».

La società ha annunciato che «impugnerà nelle sedi competenti il provvedimento di sequestro, già attuato nei confronti della controllante Riva Forni Elettrici e inopinatamente esteso al patrimonio dell’azienda, in lesione della sua autonomia giuridica»: nel frattempo «sospende le attività e procede alla messa in sicurezza degli impianti cui seguirà, nei tempi e nei modi previsti dalla legge, la sospensione delle prestazioni lavorative del personale, a esclusione degli addetti alla messa in sicurezza, conservazione e guardiania degli stabilimenti e dei beni aziendali».

Che sia una mossa da rappresaglia, lo testimonia un fatto in particolare: a Taranto, l’unica società interessata dal fermo produttivo è la «Taranto Energia», che conta 114 dipendenti. Nell’autunno del 2011, il gruppo Riva acquistò le due centrali termoelettriche di proprietà della Edison, per 164,4 milioni di euro. L’azienda ha convocato per oggi i sindacati, paventando problemi per il pagamento degli stipendi. Il problema è che dalle due centrali della Taranto Energia dipende l’alimentazione dell’intero sito produttivo pugliese. Dunque, se si fermano gli impianti termoelettrici, si ferma anche l’Ilva: per volere del gruppo Riva però, non certo della magistratura tarantina.

Nel sequestro effettuato in tutta Italia tra martedì e mercoledì dalla Guardia di Finanza, sono confluiti beni immobili per oltre 456 milioni di euro, disponibilità finanziarie per oltre 45 milioni di euro, nonché azioni e quote societarie per circa 415 milioni di euro: totale 916 milioni di euro.

Nella rete sono finite 9 società controllate in via diretta e indiretta in forma dominante da Ilva Spa, 3 società controllate in via diretta in forma dominante da Riva Forni Elettrici Spa, una società controllata mediante influenza dominante da Riva Fire Spa.

Il maggior numero dei sequestri è avvenuto tra Milano (le società hanno quasi tutte sede nel capoluogo lombardo) e Taranto. Per gli ultimi sequestri, il gip ha emesso un’ordinanza che estende il provvedimento del 24 maggio scorso, in base alla legge 231 del 2001 sulla responsabilità amministrativa delle imprese. L’estensione richiama l’art.2359 del Codice civile che parla di «società controllate, collegate o comunque sottoposte all’influenza dominante». Il 24 maggio scorso infatti, il gip ordinò un sequestro preventivo per equivalente per 8,1 miliardi nei confronti delle società Riva Fire, Riva Forni Elettrici e Ilva Spa, con esclusione solo di quanto funzionale alla continuità produttiva del sito di Taranto, poiché salvaguardato dalla legge 231 del 2012.

L’intero sequestro, ha affermato la GdF, è «funzionale alla confisca per equivalente». I periti dell’autorità giudiziaria stimarono in 8,1 miliardi di euro il tesoro sottratto indebitamente alle attività di ambientalizzazione e messa in sicurezza degli impianti, e pertanto il magistrato dispose un sequestro per la stessa cifra. Immediata la levata di scudi dei sindacati metalmeccanici. Per la Fim Cisl, questo è «l’ennesimo epilogo, di cui a fare le spese sono i lavoratori». Mentre la Uilm, attraverso il segretario nazionale Mario Ghini, attacca la magistratura, sostenendo che quanto accaduto «è la diretta conseguenza del sequestro preventivo di questi giorni».

«La scelta di Riva di mettere in libertà più di 1.400 lavoratori e di non pagare loro gli stipendi è un atto di drammatizzazione inaccettabile perché scarica sui dipendenti responsabilità non loro», ha dichiarato Maurizio Landini, della Fiom. «La situazione non è più gestibile – sostiene Landini – Chiediamo al governo di commissariare tutte le società controllate dal gruppo, al fine di garantire l’occupazione e la continuità produttiva».