Tra le macerie e nei palazzi sventrati di Raqqa si combatte la “Battaglia del martire Adnan Abu Amjad”, la più cruenta, la più dura delle battaglie che in queste ore insaguinano la Siria. Gli ultimi 3mila civili ancora dentro Raqqa tra sabato e domenica hanno lasciato le rovine dove 300 uomini di Daesh (Isis), tra foreign fighter e siriani, si dicono pronti alla morte. Davanti a loro ci sono le “Forze democratiche siriane” (Fds), l’alleanza guidata dai guerriglieri curdi e appoggiata dagli Stati Uniti, che premono per liberare i quartieri al Andalus e al Matar e per snidare i jihadisti asserragliati nello stadio e nell’ospedale dove Daesh terrebbe in ostaggio 400 feriti per usarli come scudi umani. Le trattative per liberare quei civili fino a ieri sera non avevano avuto successo. Tuttavia non tutti gli uomini di Daesh hanno respinto la possibilità della resa. 275 sono andati via con i loro familiari, assieme ai civili sgomberati dalle Fds. Dove non è chiaro. Con ogni probabilità nella Siria orientale dove Daesh controlla ancora qualche fazzoletto di terra e da dove è ancora possibile passare in Iraq.
Caduta anche Raqqa dopo Mosul, le capitali in Siria e Iraq dello Stato islamico, si infrange il progetto statuale del “califfo” Abu Bakr al Baghadi. Ma Daesh non è finito e continuerà ad esistere e a colpire, in Iraq come in Siria, facendo leva più di tutto sull’avversione dei sunniti più radicali per il potere sciita a Baghdad e alawita a Damasco. E gli uomini di al Baghdadi, di cui si ignora la sorte, potrebbero saldare nuove alleanze, addirittura con i rivali di an Nusra (al Qaeda) che guidano la coalizione Hay’at Tahrir a-Sham che controlla gran parte della provincia di Idlib. Proprio in quella zona è in corso un’altra battaglia, avviata dal presidente turco Erdogan per sbaragliare i curdi a protezione di di Afrin e per affermare con un atto di forza che Ankara avrà un ruolo nel futuro della Siria. L’offensiva «contro il terrorismo dell’Isis», cominciata da Erdogan nei giorni scorsi con l’attacco sferrato dai miliziani del cosiddetto Esercito libero siriano (Els) – addestrato e armato da Ankara -, vede ora in territorio siriano anche numerosi soldati turchi. Almeno 200, dispiegati tra l’area di Samaan e le alture di Sheikh Barakat, e che si muoverebbero in coordimento anche con i qaedisti.
Erdogan sostiene di agire all’interno dei parametri fissati dall’ultimo incontro ad Astana – con Russia, Turchia e Iran – ma non pochi contestano questa affermazione. «L’intervento turco ad Idlib non è in linea con la riunione ad Astana» ha denunciato ieri sulle pagine del quotidiano di Beirut al Binà, l’editorialista Hamidi al Abdallah, «la Turchia può impiegare fino a 500 uomini ma solo in compiti di monitoraggio della zona di de-escalation, non oltre. Invece Ankara con l’aiuto di al Qaeda sembra voler schierare i suoi soldati fino ad Aleppo». Damasco protesta, teme la costituzione ad Idlib di “emirato” di al Qaeda sotto la protezione turca. Ma ora è concentrata con tutte le sue forze nella riconquista di tutta la città orientale di Deir Ezzor, ultima roccaforte di Daesh al confine con l’Iraq.
Intanto i soldati agli ordini del presidente Bashar Assad ieri hanno lanciato un missile terra-aria SA5 verso caccia israeliani che avevano violato la spazio aereo libanese e, pare, si preparavano ad entrare in quello siriano. Il missile non ha raggiunto gli aerei. Poco dopo l’aviazione israeliana ha colpito una batteria anti-aerea a 50 km da Damasco, la stessa che lo scorso febbraio lanciò un SA5 contro i caccia con la stella di Davide che avevano bombardato in Siria.