È una delle oltre 46mila vittime del Covid-19 in Brasile, ma per i popoli indigeni è una perdita di gravità incalcolabile. Il 67enne leader kaiapó Paulino Payakan era ricoverato nell’Hospital Regional Público do Araguaia, nel sudest del Pará, dove lottava contro la morte dal 9 giugno. Era l’ultima delle infinite battaglie combattute durante la sua esistenza, ma non è riuscita a vincerla: il suo cuore ha smesso di battere mercoledì notte.

In base al protocollo Covid, avrebbe dovuto essere immediatamente sepolto. Ma il Distretto sanitario speciale indigeno (Dsei) della regione kaiapó ha concesso alla famiglia di riportarlo nel suo villaggio di origine, Ulkre, in Ourilândia do Norte, a patto che questa rinunciasse al rituale di dipingere il corpo, per evitare il rischio di contagio.

Senza di lui, la foresta amazzonica resterà ancora più indifesa. Payakan era un leader noto a livello internazionale, in particolare per la sua lotta contro la centrale idroelettrica di Belo Monte, la terza più grande del mondo (dopo quelle delle Tre Gole in Cina e di Itaipú, al confine tra Brasile e Paraguay), sui cui enormi costi ambientali e sociali aveva contribuito a richiamare l’attenzione, insieme a un altro dei leader kaiapó più conosciuti e ammirati, Raoni Metuktire.

Anche questa battaglia destinata alla sconfitta.

Considerata dai governi del Pt uno dei fiori all’occhiello del Pac, il Programma di Accelerazione della Crescita, e inaugurata da Dilma Rousseff proprio durante il processo di impeachment, la contestatissima centrale si è abbattuta come una sciagura sul popolo dello Xingu, lasciandogli in dono, tra molto altro, la contaminazione delle acque del fiume, il fortissimo incremento della deforestazione e del commercio illegale di legname, l’espulsione di famiglie, un impressionante aumento del numero di suicidi tra gli adolescenti. Ma non era stata questa la sua unica lotta.

Paulino Payakan si era battuto durante tutta la sua vita contro i cercatori d’oro illegali e i taglialegna, riuscendo, accanto ad altre figure carismatiche come Raoni e Ailton Krenak, a imporre all’attenzione del mondo la causa della distruzione della più grande foresta pluviale del pianeta.

La sua reputazione, è vero, è stata macchiata dalla condanna a 6 anni di prigione per lo stupro di una studentessa di 18 anni, commesso nel 1992 con l’aiuto della moglie, anche lei condannata. Ma il leader kaiapó si è sempre professato innocente.