Monica Ferrando: «Sarantis, tu fai della donna la garante-custode del desiderio. E se questo suo desiderio mirasse a un’ulteriorità rispetto all’uomo, che Euripide, amico di Socrate, spingendosi ai limiti del genere ‘tragedia’, ha vagamente colto?».

Sarantis Thanopulos: «L’uomo è la sponda che consente alla donna il pieno dispiegamento del suo eros. Non è una sponda moderatrice (nulla è smodato nel coinvolgimento e nel godimento femminile): accorda tra di loro il perdersi e il ritrovarsi. Dispiegandosi, il desiderio della donna va oltre la sua sponda (l’uomo o la sua declinazione in un’altra donna). Questa ulteriorità del desiderio femminile rispetto al suo oggetto, l’esilio che oltrepassa l’approdo, non porta la donna a specchiarsi in se stessa, ma in uno spazio di solitudine che non è desolazione. La donna, ritrovatasi sola, misura con i battiti del suo corpo erotico il ritmo della palpitazione del mondo. Questo è lo spazio che l’ordine patriarcale cerca di annientare».

Monica Ferrando: «Il desiderio della donna, abitualmente identificato come diretto a un solo oggetto sessualmente caratterizzato, potrebbe invece allora essere riconosciuto come l’apertura poetica di uno spazio teologico neutro. Per esempio, l’Inno ad Afrodite di Saffo: il desiderio, che conosce gli inganni dell’immagine, si affida alla divinità che è lui stesso, come parola, a rendere presente. Che sia il desiderio della donna ad accedere poeticamente alla dimensione divina doveva mettere tanto seriamente in questione la struttura teologica patriarcale da indurre quest’ultima a sostituirsi ad esso negandone l’esistenza e avvilendone la natura. La via dell’eros platonico invece, percorsa fino in fondo e nel modo giusto, può condurre a un luogo divino pieno di mistero e di potenza: la chora. Nella visione di Diotima la dynamis desiderante non si ferma al corpo ma, senza negare il corpo, approda a una dimensione finalmente libera da ogni immagine e nello stesso tempo accessibile al pensiero, sgombra da ogni seduzione. Siamo ancora nella sfera di eros? Certo, al suo culmine. Che è successo? Che eros ha aperto un varco verso coordinate di desiderio radicalmente altre anche rispetto alla cultura greca tradizionale: la tragedia fa naufragio (è rimasta senza spettatore) perché è impossibile amare un ‘personaggio’ (se non sbaglio Lacan associa la personalità-personaggio alla paranoia), cosa che avviene regolarmente nella politica e nella musica, unite da un comune destino. E’ l’ignara prigionia nel paradigma seduttivo di un eros a senso unico, idolatrico e schiavizzante, assolutamente eterogeneo rispetto a Diotima, ma omogeneo alla tradizione dei conquistatori fascinosi che il giudeo-cristianesimo farà propria, in cui l’amore culmina in un’immagine che ha anche tutte le caratteristiche del personaggio in carne e ossa. E’ quindi invece il desiderio femminile di una ulteriorità senza nome a inaugurare l’esperienza di uno spazio teologico neutro, erotico-spirituale come origine assoluta della parola poetica: non certo da deporre, ma praticare come l’unico sempre ancora possibile».

Sarantis Thanopulos: «Se per ’neutro’, Monica, intendiamo uno spazio libero da rapporti di dominio, ma aperto ai conflitti e vivibile per le differenze, sono del tutto d’accordo. I personaggi tragici sono figure dell’etica. Sul piano del desiderio, legano il sogno al corpo erotico, ammoniscono gli amanti del pericolo della concretezza, dell’idolatria in cui il soggetto desiderante si suicida, annegando nello specchio della propria immagine. Il sogno della donna oltrepassa il suo oggetto, anche se non ci rinuncia. La donna è tutta nell’incontro erotico, ma non è tutta dell’amante. La poesia ha, forse, la sua origine in questo?».