Poteri forti e magistratura brasiliana hanno segnato un punto. All’ultimo minuto del tempo concessogli, lunedì pomeriggio, Lula da Silva ha ritirato la sua candidatura per le elezioni presidenziali del 7 ottobre e il Partito dei lavoratori ha scelto come suo candidato il 53enne Fernando Haddad.

Insomma, è scattato il «piano B» che l’ex presidente brasiliano e il Pt avevano tenuto in serbo fino all’ultimo per tentare di far valere la loro tesi, sostenuta anche dal Comitato dei diritti dell’uomo dell’Onu: che in assenza di una condanna definitiva Lula avesse il diritto di candidarsi e i brasiliani il diritto di votarlo

. La battaglia per la democrazia avrà però costi che potranno essere pesanti per il Pt: non sarà per nulla facile trasferire i voti che avrebbe ottenuto Lula – il 40% secondo le ultime inchieste – al suo “delfino”. «La sua voce è la mia voce», ha affermato l’ex presidente in una lettera ai suoi elettori dopo l’annuncio del suo ritiro e come chiara indicazione di voto per Haddad.

Ma, sia nel Pt che fra la gente, si sa che non è così. Per quanto Haddad sia cresciuto nell’ombra politica di Lula – nel 2005 lo aveva nominato ministro dell’Educazione, carica che ha mantenuto per 7 anni anche sotto la presidenza di Dilma Roussef – non si è mai completamente identificato né con la linea di Lula «sempre più a sinistra», né con il suo stile. Del resto era difficile farlo.

Lula è cresciuto in una famiglia povera, si è formato nelle lotte operaie e nel sindacato fino a diventare una sorta di «animale politico» perfettamente adattato alla situazione di un Brasile retto da una giunta militare prima e subordinato poi alla politica imperiale Usa.

Haddad invece appartiene alla classe media urbana di San Paolo. Figlio di un commerciante libanese, si è laureato in diritto nella prestigiosa università della capitale economica del Brasile, quindi ha ottenuto un master in Canada e poi una laurea in Filosofia.

La complicità politica tra Haddad e Lula è totale, entrambi condividono una visione di un Brasile sovrano, sviluppato e solidale. Ma lo stile e la linea differiscono. Lula è imbattibile nel parlare agli umili del Brasile. Haddad è un professore. Di sinistra certo, ma un intellettuale figlio della classe media, con una linea politica più «moderata», visto con un atavico sospetto dalla «pancia» del Brasile.

Nonostante questo svantaggio, Lula lo ha scelto perché Haddad era una delle poche personalità di spicco del Pt che non risultavano appiattite sulla figura del leader fondatore del partito e che non avesse accuse di corruzione, nonostante sia stato fino al 2016 sindaco di San Paolo. Ovvero non fosse fagocitato dai due «buchi neri» del Partito dei lavoratori.

Ma il tempo speso nella battaglia democratica di Lula – e in parte per difenderne la linea politica – corre il rischio di volgersi a sfavore di Haddad. Il quale fino a ieri ha dovuto affrontare un forte ostacolo per crescere: non era candidato, ma il numero due di Lula. Il suo nome non era nella propaganda elettorale e non poteva chiedere un voto per sé. Negli ultimi giorni prima della «resa» di Lula è stato inviato a fare campagna elettorale nel Nord povero, quello che meno lo conosce e dove il Pt si identifica con Lula.

Così, dopo l’investitura a candidato presidenziale, Haddad si è trovato con il 9% delle intenzioni di voto, ultimo della pattuglia dei candidati più solidi: dietro a Jair Bolsonaro – che dopo essere stato vittima di un accoltellamento in piena campagna è salito nelle intenzioni di voto fino al 24% –, all’altro candidato di sinistra Ciro Gomez (Pdt, 13%), alla verde Marina Silva (Rede) e al socialdemocratico Geraldo Alckmin (Psdb) entrambi sul 10%.

Haddad – queste le previsioni più accreditate – potrebbe recuperare dal 30 al 40% dei voti che erano previsti per Lula. Sommando anche i «suoi» voti dovrebbe arrivare al ballottaggio con il candidato della destra razzista e filo militare, Bolsonaro. Ma qui sorgono i dubbi. Bolsonaro possiede uno zoccolo duro – paradossalmente i giovani con titolo di studio, segno pericoloso di un Brasile che non si libera del machismo e del razzismo – ma anche un solido schieramento (attorno al 40%) che lo rifiuta. Contro Lula perderebbe a mani basse. E secondo le ultime indagini di Datafolha anche contro i candidati «centristi».

Ma con Haddad se la giocherebbe alla pari (Datafolha indica un 39% a favore di Haddad e un 38% per Bolsonaro) ma a questo punto con il sostegno dei poteri forti. Molto dipende da quale campagna Haddad sceglierà di fare: se seguire il «radicalismo» di Lula o posizioni più moderate – meno conflittuali con i mercati – che gli sono più confacenti.