Per tenere Lula in prigione, impedendogli di vincere le presidenziali a ottobre, non servono più nemmeno le apparenze di legalità. La decisione con cui martedì scorso la seconda sezione del Supremo Tribunale Federale – la stessa che avrebbe dovuto esaminare il ricorso per la scarcerazione dell’ex presidente – ha disposto, seguendo il principio della presunzione di innocenza, il rilascio del suo ex braccio destro José Dirceu, anche lui condannato in secondo grado, ha sciolto ogni dubbio sul fatto che Lula sarebbe stato rimesso in libertà. Ed è proprio per impedirlo che il ministro relatore del Stf Edson Fachin ha disposto l’archiviazione della richiesta di sospensione dell’esecuzione della pena presentata dai legali dell’ex presidente.

Che la motivazione addotta da Fachin – il fatto che il Tribunale Regionale Federale della Quarta Regione (Trf-4) avesse negato l’ammissibilità del ricorso depositato presso la Corte Suprema contro la condanna di Lula – fosse nient’altro che un pretesto, era risultato più che evidente dalla velocità lampo dell’intera manovra: appena 45 minuti hanno separato la pubblicazione della decisione del Trf-4 dall’archiviazione disposta da Fachin. Ma il ministro relatore non si è fermato qui: in risposta al nuovo ricorso interposto dai legali di Lula contro il suo provvedimento, Fachin ha stabilito che a esaminarlo non sarà più la seconda sezione, ma direttamente il plenario della Corte Suprema, dove i voti a favore dell’ex presidente sono tutt’altro che certi. E, poiché al peggio non c’è mai fine, il plenario si occuperà della questione solo dopo la pausa invernale delle attività, cioè ad agosto, in piena registrazione delle candidature presidenziali presso il Supremo Tribunale Elettorale.

Appare dunque evidente come i canali per porre fine, almeno prima delle elezioni di ottobre, al «sequestro politico» del candidato presidenziale del Pt da parte del potere giudiziario (peraltro sempre più spaccato al suo interno) si stiano pericolosamente esaurendo: l’ultima esile speranza è riposta nelle mani del giudice Marco Aurélio Mello, il quale potrebbe decidere monocraticamente sulla questione della legittimità costituzionale dell’arresto dei condannati in secondo grado, accogliendo la richiesta presentata dal Partido Comunista do Brasil.

Se, tuttavia, Lula dovesse restare in carcere, il Pt avrebbe comunque ancora un’arma da utilizzare: quella, evocata sempre più di frequente, della cosiddetta «strategia Perón»: il metodo, cioè, impiegato con successo da Juan Domingo Perón nel 1973, quando, dal suo esilio in Europa, sostenne con forza la candidatura di Héctor Cámpora alla presidenza dell’Argentina, con lo slogan «Cámpora al governo, Perón al potere» (dopo la vittoria, Campora si sarebbe dimesso proprio per permettere a Perón di assumere la guida del Paese). Al Pt, pertanto, non resterebbe che scegliere un candidato – i più quotati sono Fernando Haddad, Jaques Wagner e Celso Amorim -, lanciandolo con slogan del tipo «Io sono Lula» e «Pt al governo, Lula al potere».